Sempre più spesso ci troviamo a contatto nei gruppi parrocchiali con bambini iperattivi. Ma cos’è questo disturbo? Per ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) si deve intendere un disturbo di tipo neuro-biologico che fa la sua comparsa nella prima infanzia.
La sua espressione tipica comprende: disattenzione, impulsività e iperattività motoria. Infatti, tutti i bambini che ne soffrono mostrano una certa difficoltà a mantenere la concentrazione, tendono a distrarsi con molta facilità, non riescono a stare fermi per molto tempo e non sono capaci di tenere a bada i loro impulsi. Dovremmo subito obiettare che molti bambini, in circostanze diverse, possono esibire gli stessi comportamenti per svariati motivi. E non per questo ci affretteremmo ad etichettarli come iperattivi. Ma la differenza è data dal fatto che per i piccoli con ADHD questi comportamenti specifici non sono occasionali o episodici. Tutt’altro! Generalmente si prolungano per almeno 6 mesi e, spesso, in modo improprio e inusuale se confrontati con quelli esibiti dagli altri coetanei.
Quali sono, dunque, le cause?
Secondo i risultati raggiunti dagli ultimi studi a matrice neuro-psicologica, genetica e neuro-radiologica, il disturbo da deficit di attenzione comporta un’alterazione delle modalità attraverso le quali si elaborano le risposte agli stimoli che provengono dall’ambiente esterno. L’ADHD risulta uno tra i disturbi psichiatrici più comuni e diffusi tra i bambini e gli adolescenti, sebbene ancora sotto-diagnosticato e non sempre adeguatamente trattato.
Chi effettua la diagnosi di ADHD? E quanto, quest’ultima, può rivelarsi attendibile?
In linea generale, perché possa risultare accurata e rispettosa del problema del bambino e dell’adolescente, la diagnosi deve essere effettuata da un’équipe di specialisti della salute mentale in età evolutiva, con competenze adeguate sia nella formulazione della diagnosi sia nell’individuazione della terapia più idonea. E la terapia? Attualmente, non esiste un unico trattamento per tutti. Sceglierne uno, credendo che possa risultare migliore di quelli scartati, è davvero molto rischioso.
Ogni intervento terapeutico, infatti, va adattato alle caratteristiche del soggetto, sulla base della sua età, della gravità dei sintomi che presenta, della presenza/assenza di disturbi secondari, delle risorse cognitive a sua disposizione e della situazione familiare e sociale nella quale è inserito.
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