Sul suo profilo Instagram c’è scritto: «Siamo una famiglia normale, con una mamma seduta». Qui Laura Miola, 34 anni, racconta con semplicità la sua vita e il suo impegno per l’inclusione. Ma a chi la segue basta poco per scorgere nel suo sguardo qualcosa di più profondo. Laura ha negli occhi la luce di chi affida a Dio ogni “sua causa”.
«Mi sono resa conto che qualcosa non andava a tre anni, con un pennarello in mano – ricorda –. Stavo colorando, ma quel pomeriggio il pennarello sembrava scivolarmi tra le dita». La diagnosi precisa della sua malattia, neuropatia periferica, è arrivata 21 anni dopo. Anni scanditi da visite e controlli.
«Vivo a Minturno, un paese in provincia di Latina, e quasi ogni giorno mi chiedevo: esiste nel mondo una bambina come me? Una bambina che vive le mie stesse difficoltà? Io volevo solamente essere uguale a tutti gli altri» aggiunge.
Inizia a guardarsi con occhi diversi quando incontra Salvatore, il suo attuale marito, lei ha 12 anni, lui 15. «Salvatore mi ha amato nella mia interezza, così come ero – racconta -. Dico sempre che siamo due bambini che si sono presi per mano e hanno iniziato a camminare insieme. E anche quando le mie gambe non riuscivano più a farmi camminare, quei due bambini andavano avanti insieme».
A 21 anni fare un passo era diventato impossibile, ma lei si ostina a non accettare la carrozzina su cui è seduta adesso. «Non la volevo – dice – perché nel mio immaginario era legata a qualcosa di triste, era legata a persone tristi che vivevano la loro vita a metà. Mi sono seduta su quella carrozzina grazie a Salvatore, che mi ha guardato con la sua dolcezza e mi ha detto: noi non dobbiamo limitarci. E in poco tempo ho capito che stavo riconquistando quella libertà e quell’autonomia che avevo perso. Ho capito che la carrozzina è un mezzo, un aiuto. Io sono Laura e sono piena di sogni e di progetti, e la carrozzina mi aiuta a realizzarli, mi permette ad esempio di stare dietro ai miei due bimbi».
L’arrivo della diagnosi
Laura e Salvatore sognano di mettere su famiglia e avere dei figli. Un progetto difficile da realizzare senza una diagnosi, senza riuscire a dare un nome alla patologia di Laura. «Trasmetterò la malattia ai miei bambini?» è la domanda che l’angoscia. Sono anni difficili, di grande smarrimento. «Pregavo tanto e anche nei momenti di maggior paura, avevo nel cuore una grande speranza. Ho sempre presentato a Dio le mie cause e l’arrivo della diagnosi è stata il mio miracolo. Insieme alla diagnosi è arrivata la risposta che tanto aspettavamo: la mia malattia non si manifesta nei miei bambini. Quello è stato il giorno più bello di tutta la mia vita».
Laura e Salvatore hanno due bambini, Ferdinando e Andrea. «Ai miei figli cerco di insegnare ogni giorno che nella vita ci saranno sempre difficoltà da affrontare, ma loro possono decidere come affrontarle, perché quello farà la differenza. Da loro, invece, ho imparato a guardare il mondo con naturalezza, come quando mio figlio vede nella mia carrozzina una macchina con delle ruote su cui correre veloci. I bambini vedono le cose con semplicità, senza stereotipi e condizionamenti. Per i loro occhi niente è diverso, è semplicemente fatto così».
Il rapporto con la fede
Gli occhi di Laura sono pieni di luce. Ma quando è sbocciato nel suo cuore il germoglio della fede?
«Dio è sempre stato presente nella mia vita – racconta –, frequento la parrocchia fin da bambina, ho ricevuto i sacramenti, vado a Messa la domenica. Dio c’è. Anche quando ero arrabbiata con Lui, sapevo che era lì e mai mi avrebbe lasciato da sola, mai mi avrebbe abbandonata. In più occasioni mi ha dato conferma della sua presenza e ogni volta la mia fede è cresciuta. Se mai avessi potuto avere dubbi, il giorno in cui finalmente è arrivata la diagnosi ho avuto la certezza della sua presenza nella mia vita».
C’è un parroco a cui deve molto, che le ha trasmesso la fede “come se fosse il pane”. «Posso dire che è stato il mio padre spirituale, si chiamava don Luigi Marchetta ed era parroco di San Biagio di Marina di Minturno, è il sacerdote che mi ha battezzato. La Prima Comunione e la Cresima li ho ricevuti da un’altra parte perché, nel frattempo, ci eravamo trasferiti, poi siamo ritornati e oggi frequento la stessa parrocchia. Don Luigi non c’è più, ma è sempre nel mio cuore».
Il dono della famiglia
In uno dei video postati da Laura, Ferdinando, 4 anni, le si avvicina e dice: «Mamma, ti aiuto io». Poi il bambino le infila con premura un orecchino. La malattia di Laura colpisce anche le mani, lei dice semplicemente che non funzionano bene. Ma spinta da una forza incredibile che ha il sapore della disciplina, guida, cucina, accudisce i figli, si trucca. Le chiedo se Salvatore si è mai spaventato dinanzi alle sue difficoltà. «Mai – risponde –, è il più fiducioso della famiglia! A me qualche volta capita di pensare: ma ce la facciamo? Lui prontamente risponde: e perché non dovremmo farcela? Riesce sempre a sdrammatizzare, a trovare le parole giuste per farmi ridere».
Tra i doni che Laura ha ricevuto c’è quello di una famiglia grande e molto unita, che la supporta nel quotidiano. Oltre ai genitori, Pia e Andrea, e alla sorella Mariella, ha quattro zie, Anna, Maria, Enza e Angela, che sono come delle mamme. Poi ci sono i genitori di Salvatore, Ferdinando e Nunzia, con i quali ha un rapporto meraviglioso. «Si parla sempre male delle suocere, la mia invece è stupenda, mi ha accolto come una figlia ed è sempre pronta a darmi una mano». Poi c’è Loredana, la persona che l’aiuta in casa: «É un dono del Signore, che ogni giorno ci porta la gioia».
Dio al primo posto
Prima di salutarci Laura mi dice che nella vita ha imparato una cosa: «A volte ci distruggiamo nella ricerca di una risposta che non arriva, ci affanniamo come se dovessimo cercare noi la soluzione. Sai come si dice? Non ci resta che pregare. Pregare, invece, è la prima cosa da fare, ecco cosa ho imparato. Ogni volta che ho posto qualcosa ai Suoi piedi, Lui non si è mai tirato indietro, non ha mai tardato a rispondermi. Nella nostra famiglia cerchiamo di mettere Dio al primo posto. Lo facciamo ogni volta che andiamo a Messa o quando preghiamo. Senza non credo che avremmo potuto essere così. Certo, si può stare insieme anche quando il pensiero è diverso, ma se il pensiero è comune, credo sia meglio. Penso che senza Dio la nostra unione non potrebbe essere così forte».
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