La gola: una smodata fame di affetto

Il peccato di gola consiste nell’assumere cibo in maniera sregolata. Contrastarlo vuol dire affrontare il vuoto che lo ha generato. Il convito eucaristico ci può insegnare l’arte del mangiare e del bere.
Dante tra i golosi nel Purgatorio

Il termine “gola” è utilizzato come metonimia per cibo o bevanda e vuole indicare un vizio difficile da determinare, ovvero quel desiderio disordinato di nutrirsi. Si potrebbe anche definirlo con il termine “golosità”, “ingordigia” o con il greco «gastrimarghìa», com’è spesso definito da alcuni Padri, “follia del ventre”.

Il peccato di gola non consiste nel piacere legato all’assunzione di cibi o bevande, bensì nella sregolatezza, nella brama di essi. L’atto fondamentale e innato del nutrirsi viene alterato nel suo significato: il cibo non è più inteso come strumento per vivere, per condividere e fare festa, ma come una sorta di fine in sé stesso.

La gola si manifesta in vari comportamenti che esprimono la brama di possedere e divorare. Il goloso non è mai soddisfatto, è sempre in cerca di cosa poter mangiare. La degenerazione del proprio rapporto con il cibo rivela sofferenze di fondo: i mangiatori compulsivi, i golosi moderni soffrono di alcuni gravi problemi che hanno a che fare con una scarsa stima di sé, un qualche vuoto infinito che cercano di colmare lasciandosi andare a un’orgia di cibo malsano. Il cibo rappresenta anche un modo di sfogare la propria aggressività nell’assimilare e distruggere le cose ingerite.

Per i Padri il motivo per cui la gola è un vizio capitale consiste nel fatto che essa ha come oggetto qualcosa legato al fine ultimo dell’uomo, che viene sostituito dai piaceri del cibo. Questo vizio cerca così di ottenere una beatitudine con il piacere del ventre, che diventa un idolo.

Non è il cibo il problema, ma il desiderio di riporre in esso un valore spropositato. I disturbi legati all’alimentazione manifestano spesso un vuoto interiore e il cibo rappresenta così una compensazione, la quale può essere una delle poche esperienze affettive che il goloso sperimenta.

Anche questo vizio capitale mostra, prima o poi, la sua menzogna di fondo: il goloso diventa incapace di gustare ciò che mangia, oscillando tra la preoccupazione e il rimpianto. Infatti, nel meccanismo di questo vizio accade di non poter mai raggiungere ciò che si brama, pur se l’oggetto sembra a portata di mano: più desideriamo il cibo, più ansiosa e compulsiva rendiamo la nostra vita.

Sacrifichiamo la serenità psicologica che ci verrebbe dalla moderazione e dalla semplicità. Questa inquietudine avvelena le varie facoltà dell’uomo. Per questo la gola costituisce un ostacolo per la vita spirituale, poiché inverte il fine con i mezzi.

Dante, ne La Divina Commedia, pone i golosi sia in Purgatorio che all’Inferno. I golosi nel Purgatorio hanno occhi scavati e membra smunte. La loro pena è il digiuno, che consuma le loro sembianze. I golosi dell’Inferno si trascinano nel fango e vengono sferzati e annegati nell’acqua.

Contrastare la gola vuol dire affrontare il vuoto che l’ha generata. Il convito eucaristico ci può insegnare l’arte del mangiare e del bere: con il corpo e il sangue di Cristo siamo inseriti nella logica del dono e della comunione.

Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato.

Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Posts