L’avarizia è un amore smoderato di possedere, consiste nel tenere e serbare quello che si ha, senza giusta necessità. Avarizia e avidità hanno la stessa radice latina “aveo”, che significa desiderare, bramare. Si tratta di una relazione sbagliata con le cose, una passione disordinata che si manifesta nel bisogno di possedere. Il possesso è sentito come necessità assoluta, e tutto è predisposto per giungere a tale scopo, senza tenere conto di alcun limite. Il possedere è un’inclinazione naturale dell’uomo, il peccato consiste nell’oltrepassare la misura, nel ritenere più del dovuto, nel dare sfogo all’amore smodato di possedere.
All’avaro non piacciono le cose, bensì la possibilità di farne uso, le possiede ma non le usa. Egli vorrebbe possedere tutto, ma smarrisce beni preziosi per la sua vita, diventando solo e infelice.
Una significativa descrizione della personificazione dell’avarizia si può trovare anche ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij. «L’avarizia può essere immoderata in due maniere rispetto ai beni esterni. Primo, direttamente, cioè nell’acquistarne e nel conservarne più del dovuto. Secondo, l’avarizia può importare una mancanza di moderazione negli affetti che uno prova per le ricchezze: e cioè amore, compiacenze o desideri esagerati verso di esse».
L’avarizia, visto che non riguarda un bisogno del corpo, ricerca soddisfazione di tipo affettivo. La caratteristica spirituale dell’avarizia si nota anche dal fatto che non dice mai basta! Questa insaziabilità rappresenta per i padri della chiesa il vero pericolo di questo vizio capitale; mentre gli altri vizi si placano quando raggiungono l’oggetto, qui non c’è mai una fine. I padri sottolineano spesso l’angoscia che assilla l’avaro, considerata come una serpe che si morde la coda; più possiede e più viene posseduto da ciò che lo spinge ad accumulare.
Un altro sentimento tipico dell’avaro è la tristezza unita alla delusione di non trovare pienamente quello che brama.
Anche a livello psicologico si può risalire a una vera e propria sindrome dell’avidità, che porta l’uomo a comportamenti compulsivi volti ad accumulare in modo insensato e tutto ciò lo conduce a distruggere il resto della propria vita.
L’avaro smarrisce anche l’autentico valore del bene, che è in se stesso diffusivo, cioè si sperimenta nel momento in cui si dona agli altri. Infatti, Dante, nel VII canto dell’Inferno, afferma che gli avari risorgeranno con il pugno chiuso, proprio a simboleggiare il loro modo di approcciarsi alla vita. Essi volevano stringere tutto a sé, ma finiscono per stringere il vuoto per l’eternità.
La virtù contrapposta all’avarizia non è la prodigalità, bensì la liberalità. La libertà nei confronti delle cose spinge ad usarle nel modo migliore, aiutando chi è nel bisogno e praticando la giustizia. Un vero rimedio all’avarizia è quindi la condivisone fraterna, che esprime il senso autentico della povertà cristiana: con una concretezza e prudenza nel dono e nell’elemosina. Solo donando è possibile uscire dalla solitudine in cui si è rinchiuso l’avaro.
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