Oggi, 22 aprile, si celebra la 54a edizione del “Earth day”, la Giornata della Terra, iniziativa che ha visto le sue origini nel 1970, negli Usa. Il senso di fondo di tale evento ricorrente è quello di rappresentare “un promemoria dell’importanza della conservazione ambientale e della sostenibilità, che ci incoraggia a unirci e ad agire per un pianeta più sano e un futuro più luminoso”.
Quest’anno, in particolare, il focus dell’iniziativa verte su un obiettivo ambizioso, raggiungibile negli anni: porre fine all’uso della plastica, a beneficio della salute umana e del pianeta.
In pratica, ci si mobilita per richiedere una riduzione, a livello mondiale, del 60% nella produzione di tutte le plastiche entro il 2040.
Per raggiungere questa finalità, gli organizzatori propongono alcuni passaggi intermedi: promuovere una vasta consapevolezza pubblica sui danni causati dalla plastica alla salute umana, animale e di tutta la biodiversità; richiedere ulteriori ricerche sulle sue implicazioni per la salute, inclusa la divulgazione di tutte le informazioni riguardanti i suoi effetti al pubblico; eliminare rapidamente tutti i plastici monouso entro il 2030 e realizzare questo impegno di eliminazione nel Trattato delle Nazioni unite sull’inquinamento da plastica nel 2024; richiedere politiche che pongano fine al flagello della moda veloce e all’enorme quantità di plastica che produce e utilizza; investire in tecnologie e materiali innovativi per costruire un mondo senza plastica.
L’allarme è alto, come sottolinea Kathleen Rogers, attuale presidente dell’Earth day: “La parola ambiente significa ciò che ti circonda. Nel caso delle plastiche, siamo diventati il prodotto stesso: scorre nel nostro flusso sanguigno, si aderisce ai nostri organi interni e porta con sé metalli pesanti noti per causare cancro e malattie. Ora, questo prodotto un tempo considerato sorprendente e utile è diventato qualcos’altro, e la nostra salute e quella di tutte le altre creature viventi è in bilico”.
In effetti, il problema delle plastiche va ben oltre una questione ambientale imminente; esse, piuttosto, rappresentano una grave minaccia per la salute umana, tanto allarmante quanto lo è il cambiamento climatico. Le plastiche, infatti, man mano che si scompongono in microplastiche, rilasciano sostanze chimiche tossiche nelle nostre fonti di cibo e acqua e circolano nell’aria che respiriamo.
Per avere un’idea, l’anno scorso sono state prodotte nel mondo più di 500 miliardi di buste di plastica (1 milione di buste al minuto!).
Molte buste di plastica hanno una vita “utile” (uso) di pochi minuti, seguita però da un “dopo vita” che può durare anche secoli. Anche dopo che le plastiche si disintegrano, rimangono come microplastiche, particelle minute che permeano ogni nicchia della vita sul pianeta.
Soltanto negli Usa, l’anno scorso sono stati venduti 100 miliardi di contenitori di bevande in plastica (vale a dire, più di 300 bottiglie per abitante). Poche di esse verranno trasformate in panchine per parchi; nessuna verrà riciclata in nuove bottiglie di plastica e il 95% di tutte le plastiche negli Stati Uniti non verrà affatto riciclato. Anche il 5% delle plastiche che viene riciclato è un “downcycling” a prodotti inferiori o spedito a paesi più poveri per il riciclaggio, lasciando inalterata la domanda di plastica vergine.
Inoltre, raramente pensiamo alla correlazione tra acqua e plastica. Ma la produzione di una bottiglia d’acqua in plastica richiede 6 volte tanta acqua quanto ne contiene la bottiglia stessa!
Tutto ciò, alla luce del fatto che la produzione mondiale di plastica è cresciuta fin ad oltre 380 milioni di tonnellate all’anno.
Insomma, ce n’è abbastanza per prendere davvero sul serio questo problema ingravescente e contribuire, con la propria partecipazione, a rafforzare il grido d’allarme rilanciato dall’Earth Day di quest’anno, perché le Agenzie internazionali competenti possano raccoglierlo, mettendo in atto le contromisure – innanzitutto a livello normativo – per contrastarlo.
Maurizio Calipari
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