Non disimpegno, ma testimonianza e presenza in prima persona, perché «nessuno dica: ci devono pensare gli altri! Ma ognuno ripeta: è anche compito mio!».
È l’esortazione finale del Discorso alla Città che il vescovo ha pronunciato questa sera nella Cattedrale di San Prisco, in apertura del novenario in onore del santo patrono della Diocesi e della città di Nocera Inferiore.
Una serata allietata dai canti del coro In Voices di Sarno e della corale San Biagio di San Marzano sul Sarno.
Solo attraverso l’impegno personale «tutti potranno incontrarsi, parlarsi, aiutarsi, scambiarsi i doni, occuparsi e preoccuparsi, integrarsi; e, mentre calpestiamo la stessa terra, possiamo alzare gli occhi e contemplare insieme lo stesso cielo e le stesse stelle. Ognuno, e tutti insieme in modo armonico e corale, ci metteremo al lavoro per rendere bella la nostra Città».
Lo si legge nel Discorso il cui testo è stato pubblicato in maniera integrale sul sito della Diocesi.
L’esortazione di mons. Giuseppe Giudice è scaturita dal tema “Per una città a misura di ragazzi”, che è servito a riflettere sull’educazione ed il servizio, prendendo ad esempio i servi di Dio don Enrico Smaldone e Alfonso Russo.
«Come Chiesa non siamo di fronte o lontani, ma dentro al traffico della vita e della storia; dentro e accanto agli altri, ma con un cuore, un pensiero, un agire, un sentimento differente, originale, profetico, stile che apprendiamo dal Vangelo, fermento per un nuovo modo di vivere, anche se alunni non sempre disciplinati», ha detto il Vescovo.
«Ci chiediamo: Educazione e Servizio hanno ancora oggi cittadinanza, accolti e rispettati, nelle nostre città? Queste dimensioni, non secondarie, entrano nell’architettura e nella progettazione degli spazi urbani?».
Le testimonianze dei due Servi di Dio
Don Enrico Smaldone «ha sognato la Città dei Ragazzi e nel suo tempo l’ha realizzata. Oggi, forse, a noi è chiesto, in un ricostruito patto educativo-fiduciale, non tanto di costruire una città come uno spazio delimitato, ma investire affinché ogni città sia a misura di ragazzo. Il tema educativo ci deve stare a cuore, investendo energie, risorse e passione in un rinnovato abbraccio tra le vere comunità educative».
Il Pastore parla di «emergenza educativa scaduta in tanti luoghi in disastro educativo», che «non può essere risolta solo con la repressione». «Si è spezzata la sana alleanza tra famiglie, scuole, parrocchie, istituzioni, ed ognuno, assumendo il ruolo di educatore senza arte né parte, non si accorge degli errori che può compiere lasciando ferite profonde e deturpando il volto e la vita dell’educando».
Mons. Giudice si è posto una serie di domande: «Che spazio c’è per i bambini, i ragazzi, le famiglie, gli anziani nelle nostre città? Quante barriere, culturali più che architettoniche, bisogna ancora abbattere? Bisogna investire in cultura ed arte, perché il bello ritorni ad abitare le nostre città e le renda belle. Dove sono gli spazi attrezzati, i parchi, i giardini? Dove sono i luoghi in cui si coltivano le relazioni per crescere in umanità?».
Don Enrico Smaldone «ci ha insegnato che non si educa delegando, ma bisogna stare, vivere insieme, essere presenti, condividendo le diverse stagioni e un progetto adatto e flessibile per la costruzione del bene comune».
Ai ragazzi, «lacerati dentro, che uscivano dalla guerra, egli ha proposto un futuro, un lavoro, un sogno». Ai nostri ragazzi, «tanto consumati dentro e a volte spacciati, che escono dalla guerra del consumismo, della noia e del niente, noi che cosa offriamo: sogni o illusioni?». Dunque, ritornare ad «educare» vorrà dire «amare.
Alfonso Russo «con la sua vita umile e consegnata a Maria, nascosta, ci invita ad immettere nella Città il senso della solidarietà, del volontariato, del servizio ai poveri, e soprattutto agli ammalati, ai fragili».
Ha lavorato e sofferto per far sì che le «nostre città diventassero quasi piccole Lourdes dove il disabile, l’ammalato, l’anziano si potessero sentire a casa, di casa, al centro e non un ingombro». Tuttavia, si respira, a volte, nelle nostre città »una certa cultura che, togliendo spazio, anima e tempo per i malati e gli anziani, li spinge, forse anche senza volerlo, ad invocare la morte dolce, l’eutanasia, presentata con la carta raffinata della pietas».
E anche qui una serie di domande tra cui: «Dove sono i luoghi in cui i malati vengono accolti, rispettati e non parcheggiati?».
«Con le culle sempre più vuote, i ricoveri per anziani sempre più pieni, forse non ci accorgiamo che questo squilibrio demografico inciderà negativamente sulla vita, il lavoro, il progresso delle nostre Città, rubandole di fatto il futuro. La vera pietas, l’attenzione all’umano nelle diverse stagioni, chiede più cittadinanza riconosciuta ed accolta in tutti i nostri centri abitativi, se tali vogliono essere», ha detto mons. Giudice. Perché «servire» è «voce del verbo Amare».
Impegno comune
Una riflessione che interroga tutti, «istituzioni civili ed religiose», affinché «in armonia» si interroghino «sul posto che hanno i piccoli nei nostri programmi, negli investimenti, nelle politiche sociali, nei progetti, se veramente desideriamo città abitabili, a misura di ragazzi».
«È tempo di progettare, o ridisegnare, spazi abitativi adatti ad accogliere tutta l’esperienza dell’umano, dal primo vagito all’ultimo respiro, passando per le diverse stagioni della vita. Non città ideali ma reali, ripensate con armonia per le diverse situazioni umane, nel gioco di ambienti protetti e spazi aperti, dove ognuno si senta accolto e mai escluso, o fuori luogo, praticamente spaesato».
Educazione e servizio
«Educazione e Servizio, riscoprendo il vero volontariato oggi in crisi, devono ridiventare le priorità nelle nostre Città, tante volte costruite per non essere abitate, senza verde e aria pulita, senza spazi umani, senza bellezza, dove macchine e animali, calpestando le persone, hanno il sopravvento».
Il passaggio sulla scuola affinché possano «condurre non solo fuori dalle lande della povertà culturale, ma indicare sempre un oltre, un di più, per essere maturi nell’umano, senza calpestare il substrato antico della nostra cultura».
E il richiamo alle parrocchie: «Darsi da fare affinché siano non semplici stazioni di servizio, ma oasi di bellezza poste nel deserto delle nostre città, per educare a servire l’uomo, quasi finestre aperte sul divino».
«Le nostre città, caotiche, confuse, asfissianti, grigie, hanno bisogno del contributo positivo e ricco di colori di ogni cittadino che deve ripetere: mi sta a cuore; questa è la mia casa, la mia città! A tutti è chiesta la responsabilità di prendersi cura della città che si abita, del quartiere, della zona, del mio metro quadrato di terra, dove si vive e si consuma l’avventura della mia esistenza».
Una riflessione molto articolata che come ogni anno dà il via alle celebrazioni in onore di san Prisco.
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