I Sacramenti: segni che ci mettono in sintonia con Dio

Gesti che accompagnano e nutrono il cammino dei discepoli e che li seguono nelle diverse fasi della vita. Lo Spirito Santo rende possibile questo incontro, ci mette in profonda sintonia con Dio, in Gesù.
Immagine di repertorio – foto Thomas/Pixabay. com

È colma di segni la nostra vita. Di gesti semplici che ci aiutano ad esprimere emozioni, che le suscitano, che comunicano e che esprimono chi siamo in profondità. L’uomo si relaziona con le parole ma, ben prima, col suo modo di presentarsi, di atteggiarsi, di manifestarsi.

Immaginate come sarebbe un mondo senza segni! Un mondo, ad esempio, fatto solo di faccine virtuali, di emoticon. O un mondo fatto di frasi di 140 caratteri. Utili, sì, per condensare un pensiero, ma zoppicanti nel descrivere il nostro universo interiore.

I segni, invece, costruiscono la realtà. Un sorriso vero, un abbraccio, una stretta di mano, un bacio passionale, uno sguardo profondo e condiviso, uno negato e rabbioso. Il segno porta con sé una caratteristica unica: esprime qualcosa e, nel contempo, suscita ciò che esprime.

Un bacio fra due innamorati, ad esempio, dice l’amore che li lega e, nel medesimo tempo, fa crescere l’amore che si donano. Esprime e suscita. Una telefonata è segno dell’amicizia che lega due persone e, allo stesso tempo, rafforza e nutre quell’amicizia.

I segni però, rischiano di essere male interpretati se non attingono ad una esperienza comune, se non vengono capiti con lo stesso significato da chi li sperimenta.

Una battuta fatta in un gruppo di amici che si conoscono, e che fa riferimento ad una esperienza comune del passato, non ha bisogno di essere spiegata, lega il ricordo di tutti, ha alle spalle un momento condiviso e riconoscibile. Ovviamente l’amico che si è unito da poco dovrà essere aiutato per capire il senso della battuta che, comunque, farà fatica ad essere accolta con tutta la forza con cui è stata condivisa. Questo richiamo ad un’esperienza comune ci aiuta ad entrare nel mondo dei sacramenti.

Poteva il Dio che è diventato uomo non condividere e usare l’esperienza dei segni? No, certo. Così, nel cammino dei discepoli di Gesù, e a partire da Gesù stesso, la Chiesa ha fatto esperienza di segni efficaci della grazia come vengono definiti: gesti che accompagnano e nutrono il cammino dei discepoli e che li seguono nelle diverse fasi della vita. Ed è proprio dei sacramenti che vogliamo parlare. Da dove nascono? Cosa rappresentano? Perché solo sette sono riconosciuti come tali e non altri? Chi lo ha deciso? A cosa servono?

Un aiuto per il nostro cammino

È possibile accedere a Dio perché Dio si è reso accessibile in Gesù: è questa la sintesi della novità cristiana. Dio si lascia incontrare, ci vuole incontrare, e lo fa attraverso un percorso di conoscenza progressiva. Lo Spirito Santo rende possibile questo percorso, questo incontro, ci mette in profonda sintonia con Dio, in Gesù.

Come ciò accade, concretamente? Molti di noi sono cristiani di nascita, hanno sentito parlare di Gesù sin da bambini, sono stati educati ai valori del Vangelo grazie ai propri famigliari. Tutto, intorno a noi, parla di fede cristiana: il tempo è organizzato intorno alla domenica, giorno di riposo e le feste principali (Natale, Pasqua…) ci richiamano continuamente ad eventi evangelici.

In ogni nostro paese o quartiere incontriamo una chiesa, un sacerdote, delle suore, in ogni edificio pubblico ci accoglie un crocefisso. Normalmente un bambino cresce conoscendo la vita e le parole di Gesù, accede ai sacramenti dell’iniziazione cristiana “naturalmente”, cresce con la consapevolezza, bene o male, di essere cristiano. Molti adulti ancora partecipano alla Messa domenicale, almeno 2 italiani su 10 frequentano regolarmente la celebrazione festiva almeno una volta al mese. 

Eppure siamo consapevoli che tutto questo non significa necessariamente incontrare Dio, conoscere Gesù.

La fede cristiana rappresenta un forte riferimento culturale per la nostra gente, ma non è detto che ciò abbia a che fare con Dio!

Il rischio che corriamo è quello di identificare (e perciò ridurre) il cristianesimo ad una serie di verità da professare e di precetti da osservare con maggiore o minore convinzione e costanza.

Intendiamoci: vivere in un Paese che proviene da una lunga e gloriosa tradizione cristiana è una cosa positiva in sé, ma diventare veramente dei discepoli è un passo successivo, ulteriore.

Bene scriveva lo storico Benedetto Croce quando affermava che in Italia non possiamo non dirci cristiani. Sarebbe bello, però, diventare finalmente discepoli!

Anche in Italia, sempre più spesso, assistiamo ad una rinascita e a un recupero della fede: sono persone battezzate che hanno fatto il loro tradizionale percorso di iniziazione cristiana e che, grazie ad un’esperienza forte, all’aiuto di un sacerdote o di una lettura, recuperano in maniera più seria e radicale la loro professione di fede.

Parliamo di una vera e propria “conversione”, che spinge un adulto a non accontentarsi di una appartenenza superficiale alla Chiesa, ma a lasciarsi coinvolgere in un vero e proprio percorso di vita spirituale.

Paolo Curtaz

Paolo Curtaz: si definisce teologo e cercatore di Dio, ma anche un evangelizzatore freelance. Paolo Curtaz è valdostano. Si è formato, dopo il diploma di scuole superiori, presso il seminario di Aosta, dove ha conseguito il baccellierato in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Ha conseguito la licenza di Teologia Pastorale presso l’Università Pontificia Salesiana nel 2010 e il dottorato in Teologia Pratica presso la Facoltà Teologica di Lugano nel 2018. È autore di numerose pubblicazioni.

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