L’invidia, uno sguardo avvelenato sull’altro

L’invidia è una “cecità morale” che impedisce di essere contenti di quello che si ha, rallegrandosi invece del male altrui. Per guarire bisogna modificare lo sguardo, imparando a guardare dall’alto, dal punto di vista di Dio.

L’etimologia lega l’invidia al verbo latino “videre”, cioè vedere; “invidere” è il vedere male, cioè vedere l’altro con occhio cattivo; ovvero non vedere più l’altro come persona degna di rispetto, ma desiderare la sua distruzione. L’invidia è una “cecità morale” che impedisce di essere contenti di ciò che si ha e si rallegra del male altrui.

A differenza degli altri vizi, l’invidia non procura alcun vantaggio a chi la coltiva, eppure per essa l’uomo tende a sacrificare ogni cosa. San Basilio riconosceva tre frutti principali dell’invidia: infelicità e depressione, aumento di cattiveria e falsità, incapacità di riconoscere il bene ricevuto. «L’invidia è soprattutto l’emozione nascosta, così nascosta che, spesso, non si è consapevoli che sia la ragione del nostro comportamento» scrive il saggista e scrittore americano Joseph Epstein.

Essa provoca lo sgretolamento e la dissoluzione dei rapporti umani. L’oggetto dell’invidia non è sempre lo stesso: invidiato può essere chi possiede doti spirituali o morali, chi è ricco, benestante o una persona di successo. L’invidia è un sentimento che si nasconde, del quale non ci si vanta, ma ci si vergogna. Infatti, l’invidioso non vuole venire allo scoperto per non perdere la sua rispettabilità.

Nella Sacra Scrittura si incontra spesso il collegamento tra il limite dell’umanità e un peccato d’invidia, quello di Satana, l’invidioso per eccellenza. Possiamo scorgere numerosi casi di invidia: Caino e Abele, Sara e Agar, Esaù e Giacobbe, Saul e Davide. Paolo esorta a resistere a questa “opera della carne” mettendo in guardia i cristiani dall’invidia e dalla provocazione vicendevole. 

L’invidioso si procura sofferenze per cose che in realtà non lo interessano veramente; egli non si accorge che le frecce lanciate contro gli altri tornano indietro e lo trafiggono senza pietà. Numerosi sono gli esempi di invidia che possiamo trarre dalla letteratura e dall’arte di ogni tempo. Dante Alighieri mostra gli invidiosi nel Purgatorio come figure spettrali, ricoperti di cilicio. Essi avanzano sorreggendosi gli uni agli altri, perché le loro ciglia sono cucite e legate con un filo di ferro. La legge del contrappasso li costringe alla pena della cecità. Nella nostra società della competizione e del successo, l’invidia cresce a dismisura e spesso viene alimentato anche il sentimento dell’essere invidiati. È il credersi felici solo nella misura in cui si è invidiabili.

Molti autori hanno affrontato la questione dei rimedi all’invidia, alcuni suggeriscono di trasformare l’invidia in un atteggiamento di competizione o di emulazione, altri, invece, ritengono che si può guarire dall’invidia imparando a guardare diversamente, passando dallo sguardo catturato e angusto dell’invidia a quello libero e aperto di chi sa guardare in alto, o, meglio, dall’alto, dal punto di vista di Dio. 

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