Non c’è niente di più curativo di un abbraccio

Nell’antica tradizione delle “anime pezzentelle”, i vivi cercano protezione dai defunti, convinti che la morte non sia la fine. In questo novembre dedicato alla memoria dei cari scomparsi, offriamo un abbraccio a chi resta, il conforto più autentico per il dolore della perdita.
(Archivio Nuova Stagione – Napoli)

Di per sé il Cimitero delle Fontanelle, a Napoli, è un luogo che dovrebbe trasmetterci una certa paura. L’ex ossario, cuore del quartiere della Sanità, era un’antica cava di tufo.

Nel 1654 una terribile pestilenza si abbatté sulla città di san Gennaro portandosi via 250 mila dei 400 mila abitanti dell’epoca e quella cava sembrò il luogo più adatto per accogliere i resti delle povere vittime. Seguirono altri tempi difficili, tra carestie, tre rivolte popolari, tre terremoti, cinque eruzioni del Vesuvio.

Cimitero delle Fontanelle nell’antico quartiere Sanità a Napoli (Archivio Nuova Stagione – Napoli)

Anche in questi casi, il Cimitero delle Fontanelle fu il luogo scelto per il riposo di quei corpi. La sensazione che si ha a vedere le ossa ammonticchiate non è però di sconforto, pena, triste presagio di quel che, inevitabilmente, ci toccherà. La percezione è quella dell’attesa di quanto prima o poi, alla fine dei tempi, avverrà e cioè la risurrezione dei corpi. Quei corpi stanno aspettando con pazienza.

San Tommaso d’Aquino ci spiega che l’anima è un tutt’uno col corpo, ma non lo segue nella morte: nel momento del trapasso, continua a vivere, immortale. Ma non voliamo alto come san Tommaso, che col suo pensiero s’avvicinò alla luce infinita di Dio.

Nel Cimitero di cui parliamo era molto comune che i napoletani adottassero “un’anima pezzentella”, curando le ossa di un defunto lì sepolto, magari costruendogli una cassetta per custodirle meglio.

In cambio chiedevano protezione o, al massimo, i più arditi domandavano i numeri al lotto. Paganesimo? Superstizione? Difficile dirlo: ci toccherebbe entrare nel cuore di un uomo o di una donna. Se però ci si prendeva cura delle ossa e magari si chiedeva anche un aiuto al defunto è perché quelle persone, nella loro semplicità, avevano la certezza della risurrezione. Non tutto finisce qui sulla terra. E, allora, al bando la brutta espressione, tanto comune alla morte di una persona conosciuta: «La terra ti sia lieve».

Quale terra? L’anima è altrove, già vicino al Signore. E non c’è terra che non sia lieve per chi sa, perché lo ha visto in Gesù, che anche i corpi risorgeranno. 

In questo mese di novembre, dedicato ai defunti, facciamo un bel fioretto. Eliminiamo le frasi fatte, la terra lieve e quei terribili «Rip», una sigla per dire «rest in peace», riposa in pace. E non perché il defunto non debba riposare in pace, anzi, ma perché sa di freddezza.

Un «Rip» non si nega a nessuno. Assai meglio un abbraccio a chi resta, il calore di una parola buona e autentica. «Povero chi muore», dice l’antico adagio. Ma chi muore è nella luce di Dio mentre chi resta, per quanto abbia consolazione, vive il dolore del distacco, dell’assenza, della nostalgia. E non c’è niente di più curativo di un abbraccio. 

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