Povertà educativa e povertà ereditata: le emergenze del Dossier 2024

Ieri la presentazione all’Università degli Studi di Salerno Vincenzo De Luca: «Chi ha responsabilità politiche dovrebbe interessarsi del tema della povertà, ma spesso è molto distratto»
Il tavolo dei relatori alla presentazione del Dossier Caritas 2024

La povertà che si eredita e la povertà educativa sono stati i due dati emersi dalla presentazione del Dossier regionale povertà di Caritas Campania.

Il report, che ha compiuto venti anni, ha messo insieme i dati di 20 diocesi per un totale di 116 centri di ascolto.

È stato presentato ieri mattina nell’Aula delle lauree dell’Università degli Studi di Salerno alla presenza di monsignor Antonio Di Donna, vescovo di Acerra e presidente della Conferenza episcopale campana, e di Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania. A dare il benvenuto è stato il rettore Vincenzo Loia e il direttore del dipartimento di Studi politici e sociali, Gennaro Iorio, che ha fatto da moderatore.

«Quelli del dossier non sono solo numeri, non sono solo dati statisti, dei sono volti. C’è il grido dei poveri, quel grido che risuona nelle migliaia di centri di ascolto delle nostre parrocchie e delle nostre diocesi», ha detto monsignor Di Donna.

Dati che «ci aiutano ad elaborare una risposta per fare bene le cose, conoscendo i bisogni reali dei poveri. Per non dare una risposta inadeguata», ha proseguito.

I dati elaborati dal sociologo Grassini

Il report è disarmante. Analizzando i dati 2023 emerge un aumento degli utenti agli sportelli Caritas. Lo si legge nelle tabelle riportate nel Dossier. I dati li ha estrapolati Ciro Grassini, curatore del rapporto regionale: «Nel 2023 sono transitate 15.411 persone».

Si tratta di singoli che una volta moltiplicati per le famiglie che rappresentano fa lievitare il numero di aiutati a 40.000, «senza contare gli utenti non censiti, come quelli che si recano alla mensa o alle docce».

Un record rispetto agli anni scorsi: nel 2019 avevano chiesto aiuto 8.173 persone, nel 2020 erano salite a 14.662, nel 2023 15.411. È l’evidenza che qualcosa, anche nella gestione dei sostegni al reddito, non ha funzionato. «Il 47,3% di chi si è rivolto ai nostri centri di ascolto non aveva mai chiesto aiuto», ha rilevato Grassini. Nell’analisi dei dati effettuata dal sociologo, un richiamo importante è stato fatto sulla sanità. La popolazione campana ha «una speranza di vita di quasi due anni in meno rispetto al nostro Paese», e «la percentuale di mortalità evitabile è di ben il 25%». Una «Italia a due velocità», con la «Campania che sta tentando di emergere, ma non ci riesce». A preoccupare è il dato delle famiglie in povertà assoluta, il 19,2%, ma anche quello dei nuclei borderline: il 44,4% di persone è a rischio povertà ed esclusione.

Degli utenti dei contri di ascolto Caritas, gli italiani rappresentano la maggioranza con il 71,9%. Tra gli stranieri, il 27,8% degli utenti, gli ucraini sono la presenza maggiore, seguiti dai marocchini. In totale, agli sportelli Caritas si presentano persone di 95 nazionalità diverse.

A chiedere aiuto sono sempre le donne. «C’è una predominanza femminile. Quando la famiglia è in difficoltà è la donna a caricarla sulle spalle», ha osservato Grassini. E la maggioranza di situazioni di povertà si riscontra in famiglia, il 63,3%.

Un altro focus ha riguardato i dati dell’istruzione: il 70% degli utenti non ha una formazione di livello superiore. Tra le richieste principali spiccano beni e servizi, 49,3%, seguiti dalla necessità di un alloggio, 15,5%, e da esigenze sanitarie, 15%.

Povertà educativa che si eredita

Ad avvalorare i numeri snocciolati da Ciro Grassini ci ha pensato la professoressa Serena Quarta. «Essere poveri significa essere esclusi dalla partecipazione sociale, non solo non poter soddisfare i bisogni primari», ha rilevato la docente UNISA.

«Sempre più ragazzi e ragazze sono esclusi da esperienze formative. Nel 2023 il 70% degli under 19 non aveva visitato una biblioteca, il 39% non ha avuto accesso ad attività sportive e il 17% ad attività culturali. Dati che danno un segnale preoccupante», ha detto Quarta.

La professoressa ha rimarcato il «tasso elevato di abbandono scolastico» in Campania e ha aggiunto: «In una famiglia dove non c’è un titolo di studio elevato è probabile che i minori non vadano all’università. Si rischia di tramandare una povertà educativa. Quei minori hanno grosse probabilità che da adulti restino poveri, insomma ipotecano il loro futuro».

Si è detta «non stupita» dalla fotografia del Dossier l’assessore regionale al Welfare, Lucia Fortini, che ha rincarato la dose: «La povertà si eredita, in particolare se la madre non ha studi superiori. I figli spesso sono una risorsa: si utilizza la forza lavoro dei figli per superare impedimenti familiari». Una povertà che è anche conseguenza del «continuo dileggio nei confronti della scuola». la svolta, ha detto Fortini, è «far capire ai ragazzi che la scuola è uno strumento per trovare lavoro; la scuola deve servire per dare delle opportunità».

Servono «fondi ulteriori», ha continuato l’assessore regionale; tuttavia, «ci deve essere un processo culturale per fare capire che la scuola è uno strumento di ascensore sociale».

Aspetti richiamati anche da: don Carmine Schiavone, incaricato regionale Caritas; Roberto Bafundi, direttore del coordinamento metropolitano INPS di Napoli; Roberto Tuorto del Banco Alimentare.

Il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, ha raccolto le varie sollecitazioni arrivate dal tavolo, ampliando il ragionamento ad una analisi più ampia sullo Stato sociale. Si è soffermato sulla sanità: «Siamo usciti dal commissariamento nel 2019. La regione Campania riceve quasi 200 milioni di euro in meno nel riparto del fondo sanitario nazionale, cioè ogni cittadino della Campania riceve per esempio 60 euro pro capite in meno rispetto a un cittadino dell’Emilia-Romagna. Una vergogna nazionale che nessuno ha voluto combattere».

Un passaggio anche sull’autonomia differenziata: «Se fosse passata quella legge saremmo morti. Grazie a Dio, siamo riusciti a bloccarla. Ma quando si è trattato di combattere a Roma eravamo soli. Non c’era nessuno delle forze politiche nazionali, ma abbiamo avuto coraggio e abbiamo creato un clima di mobilitazione nel nostro Paese».

Vincenzo De Luca ha aggiunto: «Avete sentito esponenti di governo rivendicare successi occupazionali, è oggettivo un aumento del numero di occupati. Ma come si spiega che aumentano gli occupati, ma aumenta anche la povertà, aumentano le famiglie in povertà, aumentano quelli che non si curano? Cresce la povertà perché non crescono i salari, fermi da vent’anni, e poi oggi l’inflazione diminuisce il potere d’acquisto. Quindi, anche quelli che lavorano di più rispetto al passato non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese».

Infine, ha rilevato il presidente De Luca: «L’altro elemento che spiega questo paradosso è il blocco della mobilità sociale, la mancanza di speranza e la mancanza di aspirazione. Prima vi era una speranza di salto sociale. Oggi questa speranza non c’è più, l’ascensore sociale si è bloccato e dunque la povertà diventa una condanna a morte».

La svolta è la partecipazione e la sinergia: «Faremo di tutto, ma dovremo in ogni caso combattere. Dobbiamo stare insieme – mondo cattolico, la Chiesa, il volontariato, il mondo delle Università – in questa battaglia che ci aiuta a creare una prospettiva per una intera generazione di giovani meridionali».

Le conclusioni sono state affidate a monsignor Antonio De Luca, vescovo di Teggiano-Policastro e delegato dei vescovi della Cec per il settore Caritas. Il presule ha osservato: «La narrazione su crescita e aumento del Pil non è un antidoto alla povertà. Abbiamo visto che la povertà si eredita. La povertà ammala e genera tristezza e pessimismo. Dobbiamo attivarci per un’alleanza educativa con istituzioni civili per arginare l’abbandono scolastico, perché l’istruzione è per tutti».

Il vescovo De Luca ha chiosato: «Nei poveri muore il diritto ad aspirare, alla speranza. Far sì che non si spenga del tutto è certamente un compito primario di politica e istituzioni, ma non di meno della Chiesa».

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