Don Alberto Ravagnani: giovani e santità, «la Chiesa sia esempio di comunità»

Don Alberto Ravagnani, «prete contemporaneo», parla di Chiesa, comunità, santità, social e solitudini. Il sacerdote milanese è intervenuto alla Festa diocesana dei giovani
Don Alberto Ravagnani sul palco di Sarno

Don Alberto Ravagnani è stato ospite alla Festa diocesana dei giovani, che il 21 settembre si è tenuta nella città di Sarno convogliando più di 500 giovani da tutto il territorio. Tra le tante definizioni, sceglie quella di «prete contemporaneo».

Un pomeriggio di musica, divertimento, ricerca e spiritualità. Ad animarlo sono stati i giovani di Fraternità, comunità nata dall’esperienza social e oratoriale di don Alberto Ravagnani con l’obiettivo di «unire tutti i ragazzi in una grande community di amici per riscoprire la bellezza di essere Chiesa e imparare a vivere da Dio», si legge sul loro sito.

Un ritorno in piazza organizzato dal Servizio diocesano di Pastorale giovanile.

Prete, youtuber, influencer, sacerdote. Don Alberto, come dobbiamo definirla?

«Credo che oggi fare il prete sia diverso che 10 o 20 anni fa. Faccio il prete in una maniera che mi pare essere contemporanea. Sto sui social, vado in giro. Quindi, prete contemporaneo».

Come resiste il messaggio lanciato in pandemia, ora che ne siamo fuori?

«Durante la pandemia abbiamo imparato che i legami sono essenziali, che è importante stare insieme, non bastano uno schermo e le possibilità della tecnologia. Possono aiutare ed essere un grande strumento per facilitarci nell’incontro».

In occasione dei raduni giovanili ci affligge l’angoscia dei numeri.

«Non dobbiamo avere l’ansia dei numeri. Tuttavia, sono l’indicatore di un coinvolgimento e di una adesione da parte dei giovani a quello che la Chiesa propone. Se i giovani hanno davanti qualcosa di bello, delle esperienze significative, allora vanno e partecipano. In generale oggi i giovani fanno un po’ fatica a partecipare, però comunque scendono in piazza, comunque si mobilitano per certe cause. Credo che il segreto sia come toccare il cuore dei ragazzi, poi i numeri vengono di conseguenza».

Toccare il loro cuore.  C’è una difficoltà ad entrare in contatto con le loro solitudini. Come gli si può stare accanto attraverso l’esperienza del Vangelo?

«La Chiesa è chiamata a farsi prossima alla gente come Gesù è venuto per farsi prossimo agli uomini, per portare Dio a tutte quante le persone. Oggi è più facile rintanarsi in casa o dietro uno schermo, ci sono meno occasioni per uscire fuori e per avere accanto degli amici con cui poter parlare. Occorre, quindi, riuscire a creare contesti in cui le persone possano ritrovare un senso di comunità. Infatti, mancano luoghi di comunità, esperienze comunitarie. Prevale la logica dell’appartamento per cui ciascuno si apparta in casa sua e pensa fondamentalmente alla sua vita. La Chiesa è comunità e proprio dalla Chiesa deve ripartire una istanza per tutta quanta la società affinché si rimettano al centro le relazioni. Noi siamo persone, non individui, e quindi abbiamo bisogno degli altri».

Piazza 5 maggio in occasione dell’incontro con don Alberto Ravagnani
Vietare i cellulari fino a 16 anni, dunque, non è la soluzione per contrastare la solitudine giovanile?

«Vietare ha sempre lati positivi e negativi. Il problema è educativo. Si tratta di riuscire sempre di più a comprendere lo strumento – il cellulare, l’ambiente dei social – e come un ragazzo possa abitare quel mondo. Tenere fuori le persone da questi contesti, senza dare la possibilità di avvicinarsi progressivamente, non credo sia la soluzione giusta. Occorre formare i genitori, i professori, gli educatori, i preti per capire come aiutare i ragazzi ad abitare questi mondi in maniera buona».

Come si passa dalla ricerca dell’esperienza momentanea alla testimonianza quotidiana?

«Questa esperienza, questa festa, è una scintilla che ha la capacità di accendere un fuoco, che però va alimentato. Occorre che al di là di questo grande momento ci sia la possibilità per le persone di accumulare legna da bruciare: formazione umana, amici, momenti di preghiera. Però è importante che ci sia una motivazione forte. Se c’è una motivazione, un desiderio, un’aspirazione uno capisce che vale la pena e trova il modo, giorno dopo giorno, per raggiungere quell’obiettivo.

Il tema della festa è la santità, ma è ancora di moda?

«No. O meglio sì, ma bisogna renderla attuale. Noi cattolici dobbiamo capire cosa voglia dire essere insieme interpreti del Vangelo e interpreti di quest’epoca. Un santo è un uomo che vive da Dio nel suo tempo. Tutti i grandi Santi sono stati per certi versi fuori dal mondo, fuori dalle logiche della società, ma più di altri hanno rappresentato una rivoluzione per la loro epoca. Anche oggi la santità chiede ai cristiani di riuscire a trovare modi nuovi, anche trasgressivi, per essere gli interpreti migliori di quanto sta capitando adesso».

Il Papa ha chiesto ai giovani, nel messaggio per la trentanovesima GMG, di essere pellegrini e non semplici turisti, di camminare senza stancarsi. Come si fa?

«È importante camminare insieme agli altri, perché da soli è tutto più difficile. Insieme non solo è più facile, ma è pure più giusto e più vero. Gesù non fa da solo il Messia, ma insieme ai discepoli. Anche noi, se vogliamo camminare verso Dio, la felicità, la santità, dobbiamo capire prima con chi stiamo camminando in quella direzione».

Fraternità è il nome della community che anima la festa, il motto è “Vivere da Dio”. Quindi, è possibile?

«Sì, lo testimoniano i ragazzi che stanno con me e animano questa giornata. Nel momento in cui un ragazzo fa un’esperienza forte di Dio e lo fa insieme ad altri amici la sua vita cambia, fiorisce, fa la differenza. Provare per credere. Credo che la santità oggi passi attraverso questi giovani che incontrano veramente Dio e riescono a stare in mezzo ai loro coetanei con una luce che il mondo, tante volte, sembra aver dimenticato. È grazie a questa piccola luce che tanti altri si illuminano».

https://youtu.be/s775MYU2eCs

«Cari ragazzi, aiutate gli adulti a ritornare giovani»

Il Vescovo e don Domenico Petti all'incontro con don Alberto Ravagnani
Il Vescovo con don Domenico Petti

La Festa diocesana dei giovani con don Alberto Ravagnani ha avuto come motore la consulta di Pastorale giovanile guidata da don Domenico Petti.

Il sacerdote è stato ringraziato dal vescovo mons. Giuseppe Giudice che ha detto ai presenti: «La santità non è una immagine edulcorata. Essere santi significa rispondere nella totalità, con tutta la nostra vita, al Signore che ci ama e ci vuole bene. Il quale non ci giudica ma ci aiuta a camminare. Vi do un compito: aiutate gli adulti a ritornare giovani».

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