L’Italia “consuma” ancora troppo suolo. Terreno fertile, spesso, ma comunque terreno che da libero e a disposizione del verde e delle produzioni agroalimentari passa ad essere bloccato dalle infrastrutture e dagli edifici. Si tratta di un fenomeno noto da tempo, contro il quale molto si fa ma non abbastanza. Ragionare sull’uso che del suolo viene fatto nel nostro Paese, serve per comprendere verso quali orizzonti ambientali si sta andando e quali siano i costi della mala gestione della risorsa principale che abbiamo a disposizione.
Il “manuale” per comprendere a che punto siamo circa il consumo di suolo è certamente l’indagine periodica condotta dall’Ispra con il rapporto Snpa (Sistema Nazionale per la Protezione dell’ambiente), i cui risultati parlano chiaro.
Complessivamente – è stato spiegato in occasione della Giornata mondiale del suolo che si celebra il 5 dicembre – “il consumo di suolo rimane ancora troppo elevato, anche se con una leggera diminuzione rispetto all’anno precedente e continua ad avanzare al ritmo di circa 20 ettari al giorno, ricoprendo nuovi 72,5 km2 (una superficie estesa come tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze)”. Una crescita, viene fatto notare, “inferiore rispetto al dato dello scorso anno, ma che risulta sempre al di sopra della media decennale di 68,7 km2 (2012-2022) e solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali (poco più di 8 km2, dovuti in gran parte al recupero di aree di cantiere)”. Detto in altri termini, non siamo ancora capaci a sufficienza di usare bene la risorsa suolo che abbiamo a disposizione.
Se si guarda al dettaglio dei numeri si capisce ancora di più. Nel 2023 risultano cementificati più di 21.500 km2, dei quali l’88% su suolo utile.
E’ poi in “calo costante la disponibilità di aree verdi: meno di un terzo della popolazione urbana riesce a raggiungere un’area verde pubblica di almeno mezzo ettaro entro 300 metri a piedi”. Aumenta l’estensione delle “aree a pericolosità idraulica media” mentre si “sfiorano i 530 ettari nelle zone a pericolosità da frana, dei quali quasi 38 si trovano in aree a pericolosità molto elevata”. Ancora nel 2023 la logistica ricopre altri 504 ettari in un solo anno, una crescita attribuibile principalmente all’espansione dell’indotto produttivo e industriale (63%), mentre la grande distribuzione e le strutture legate all’e-commerce contribuiscono rispettivamente per il 20% e il 17%. Poi c’è l’agricoltura.
I coltivatori diretti non hanno dubbi. “La cementificazione e la scomparsa dei terreni fertili hanno tagliato 21 miliardi di euro in valore di prodotti agricoli in poco meno di un ventennio, con un trend preoccupante che mina la sovranità alimentare del Paese in un momento reso ancora più delicato dalle tensioni internazionali, che gravano sugli scambi commerciali alimentando speculazioni”.
Coldiretti sottolinea poi che confrontando i risultati dei Censimenti agricoli dal 2000 al 2020, la superficie agricola totale è passata da 18,8 milioni di ettari a 16,1.
Un fenomeno che ha avuto gravi ripercussioni sulla gestione del territorio e sulla stabilità idrogeologica del Paese, aggravando gli effetti dei cambiamenti climatici e delle condizioni meteo estreme. Solo nell’ultimo anno, cemento, asfalto e altre coperture artificiali hanno cancellato suolo fertile pari a 28 campi da calcio al giorno.
E anche sul fronte della sicurezza idrogeologica le cose non vanno meglio. Stando ad Ispra, nel 2023 la riduzione dell’”effetto spugna”, ossia la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, secondo le stime, costa al Paese oltre 400 milioni di euro all’anno.
La morale di tutto questo è tutto sommato chiara. L’uso del suolo è cosa da trattare con grande attenzione ed equilibrio. Non si scherza, detto in altri termini, con una risorsa che è limitata e fragile oltre che preziosa. Ma non servono solo politiche più attente e vincoli più stringenti, occorre anche una cultura del risparmio delle risorse ambientali che deve ancora fare molta strada per dirsi diffusa.
Andrea Zaghi
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