Capita a tutti di cadere. Le pietre d’inciampo che troviamo sul percorso della nostra vita costruiscono ciò che diventiamo, ma non sempre da soli si è capaci di rialzarsi, di continuare a camminare. A volte serve una mano che si tende per sollevare, un soffio di ossigeno che riempie i polmoni. È sempre difficile chiedere aiuto, ancora di più è trovare qualcuno a cui affidare le proprie sofferenze, qualcuno che sappia ascoltare.
«Lo psicanalista ascolta, non parla quasi mai, fa parte della cura» spiega don Carmine Cialdini, sguardo limpido e sorriso accogliente. Il giovane parroco di Maria Immacolata, a Nocera Inferiore, sta studiando per conseguire la Laurea magistrale in filosofia e psicoanalisi. «Questo mi aiuta tanto anche in parrocchia, perché si sviluppa un modo di ascoltare che è diverso, diventa una missione – continua –, un modus operandi: saper ascoltare e porsi nella giusta maniera rispetto a quella che può essere una sofferenza. Non basta dire “non ti preoccupare, passerà, preghiamo”. Sicuramente è una cosa bella sapere che qualcuno prega per te, però c’è bisogno anche di dare un indirizzo, una strada, una speranza».
Nelle comunità parrocchiali, grandi o piccole che siano, il parroco è un punto di riferimento, qualcuno a cui affidare preoccupazioni e dolori.
«Sicuramente ci sono gioie e dolori nell’ascolto, la gioia è vedere che sei utile per qualcuno. Quando ti portano i loro pesi, i loro problemi, le loro sofferenze… ti fa onore che una persona viene da te, ti dice cosa sta vivendo, sperando che magari tu possa essere d’aiuto. Anche chi cerca un lavoro chiede al parroco. Gratifica essere un punto di riferimento, per quello che puoi dare».
Non solo riconoscimenti e soddisfazioni, un parroco trattiene dentro di sé il fiume in piena della sua comunità. «Poi, però, ti porti a casa i problemi delle persone, i loro pensieri, ci pensi durante la settimana. “Come posso fare per aiutare questa persona, magari mi posso consigliare con qualcuno”».
L’ascolto non è mai fine a se stesso, lascia sempre una traccia. «Sapere che il tuo ruolo ti coinvolge in prima persona, soprattutto quando sei nel ruolo di confessore, ma che non sei altro che un tramite, ti dà più forza. I veri pesi li porta il Signore, tu sei chiamato ad essere ascoltatore, un facilitatore della vita spirituale delle persone».
In alcuni casi diventa davvero difficile dare un’adeguata parola di supporto. «Quando hai a che fare con la povertà, con persone che hanno famiglia e non lavorano o sebbene lavorino non riescono ad andare avanti. Anche se riusciamo a dare un sostegno materiale, deve essere comunque accompagnato da un sostegno morale. Noi ci proviamo», chiosa il sacerdote.
Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato.
- Luigi Liotto, un servizio d’amore
- L’apostolo della sofferenza: «Siamo servi inutili»
- La Madre di Dio e il Giubileo
- Gli strumenti per vincere l’ira
- Un capodanno di riconoscenza