Gli strumenti per vincere l’ira

Continua il nostro approfondimento sul vizio dell’ira, una passione complessa. Per vincerla, l’uomo deve praticare le virtù opposte della pazienza e della dolcezza, esercitando la padronanza dei pensieri.

Continua il nostro approfondimento sul vizio dell’ira che colloca l’uomo nello spazio dell’ingiustizia, non solo nei confronti degli altri ma anche verso Dio.

Nella lista di Evagrio Pontico l’ira è situata tra la tristezza e l’accidia, quindi tra i vizi che colpiscono la psiche dell’uomo. Egli la descrive così: «L’ira è una rapina della prudenza, distruzione di una condizione, confusione della natura, un modo di fare da selvaggi, una fornace del cuore, una fiamma che erutta fuori, una legge dell’irascibilità, collera per le offese, madre di belve, un conflitto silenzioso, impedimento della preghiera».

Le persone irose «sono incapaci di dominare sé stesse, di temperare le loro tendenze parassite e distruttive. […] L’iroso domina, schiaccia, vuole l’umiliazione, la sottomissione dell’altro». Evagrio descrive bene le conseguenze che l’ira provoca sull’uomo che ne è travolto. Infatti, quando questa perdura, «può trovare nel cuore luoghi appartati in cui nascondersi: il risentimento o il rancore, i quali sono pronti a far divampare il fuoco della collera».

Anche Gregorio Magno, nel Commento morale a Giobbe, colloca l’ira nella genealogia dei vizi capitali, figlia dell’invidia e dell’accidia, aggiungendo una distinzione fondamentale: «Altra è l’ira che nasce dall’impazienza, e altra è quella che lo zelo alimenta. Quella nasce da un vizio, questa da una virtù». Esiste quindi una forma d’ira «che è la diretta conseguenza dell’amore del prossimo e che rappresenta la reazione inevitabile alle colpe, tanto nostre quanto altrui». Mentre gli altri vizi minacciano l’animo umano, questo lo travolge; gli altri vizi allontanano dalla ragione, l’ira lo fa precipitare nella follia.

Anche nella Sacra Scrittura si distingue una duplice forma di ira: l’ira di Dio e l’ira dell’uomo. La prima forma appare soprattutto nell’Antico Testamento: nella punizione per il peccato della prima coppia (cf. Gen 3), nella reazione alla grande malvagità degli uomini al tempo di Noè (cf. Gen 6), nella collera contro la ribellione e l’orgoglio del suo popolo (cf Nm 11-12); dalla seconda forma mette in guardia l’autore del libro dei Proverbi (cf. Pr 14-15); anche nel Nuovo Testamento si possono trovare riferimenti a questa passione e lo stesso Gesù, mite e mansueto, è colui che scaccia i venditori dal Tempio (cf. Gv 2,15).

Uno degli effetti negativi dell’ira è il giudizio interiore che può sedimentarsi nel cuore dell’uomo e diventare odio o rancore, con conseguenze molto pericolose che condizionano i comportamenti successivi. Altri effetti sono la mormorazione, la maldicenza, la bestemmia e comportamenti aggressivi.

Attualmente è possibile risalire al vizio dell’ira leggendo tra le righe dei comportamenti dell’uomo contemporaneo, che tende ad esprimerlo in maniera collettiva con i conflitti tra popoli.

Per vincere l’ira bisogna andare alla sua radice e l’uomo deve praticare le virtù opposte: la pazienza e la dolcezza. La terapia della collera deve passare anche attraverso la cosiddetta “santa collera”, che purifica il cuore. Per reprimere l’ira è necessario esercitare la padronanza dei pensieri e la pazienza.

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