Nel 2024 torna a crescere l’agricoltura italiana che, all’interno dell’Ue, è prima in quanto a valore aggiunto. Lo dice l’Istat che qualche giorno fa ha diffuso le stime preliminari dei conti del settore per lo scorso anno. Una fotografia positiva, tenendo soprattutto conto delle condizioni climatiche e di mercato nelle quali la produzione si è svolta. Un risultato importante al quale – occorre sottolinearlo – hanno contribuito le tecnologie ma pure la fatica di innumerevoli lavoratori.
Stando dunque ai conti Istat, nel 2024 aumentano la produzione e il valore aggiunto dell’agricoltura (in volume, rispettivamente, +1,4% e +3,5%). In termini assoluti, il valore aggiunto agricolo è arrivato a 42,4 miliardi di euro; la variazione dell’indicatore di reddito agricolo pe l’Italia + pari al +12,5%. Annata favorevole, dice sempre l’Istat, per frutta (+5,4%), ortaggi freschi (+3,8%) e vino (+3,5%); in flessione cereali (-7,1%), olio d’oliva (-5%) e foraggi (-2,5%). In aumento, inoltre, i prezzi dei prodotti delle coltivazioni (+2,9%), mentre sono stati registrati in diminuzione quelli del comparto zootecnico (-2,2%). Significativa anche la diminuzione dei prezzi dei beni e servizi impiegati nel settore (-4,5%). Il calo il lavoro impiegato nei campi (-2,6%). Proprio l’apporto del lavoro, tuttavia, deve essere preso in grande considerazione. Ed è quello che fanno non solo le organizzazioni agricole ma soprattutto quelle dei lavoratori agricoli. E con ragione.
“I dati Istat – dice per esempio in una lunga nota la Uila – rivelano il primato della nostra agricoltura, non dobbiamo però dimenticare che la ricchezza prodotta è stata resa possibile anche grazie ad oltre un milione di lavoratori e lavoratrici agricole, connazionali e stranieri, che con la loro professionalità consentono di assicurare cibo di qualità sulle nostre tavole e valorizzare il made in Italy nel mondo”. Lavoro, quindi alla base di tutto. Lavoro che nei campi, nonostante le importanti innovazioni tecnologiche che soprattutto negli ultimi anni si sono fatte largo, continua ad essere duro e faticoso. E anche sottoposto, troppo spesso ancora, ai ricatti della malavita.
Eppure, il lavoro agricolo, dopo lunghi anni di sottovalutazione, pare tornato ai primi posti nelle aspettative sociali. Coldiretti, per esempio, ricorda che quasi tre italiani su quattro (74%) si dichiarano “felici se i propri figli o nipoti lavorassero in campagna”. Un dato, dicono ancora i coltivatori facendo riferimento anche ad una indagine del Censis, “che evidenzia come, nel tempo del crollo della fiducia nelle competenze e nelle varie professioni, gli agricoltori siano riusciti a costruirsi un proprio specifico capitale di riconoscimento”. Anche da parte dei giovani.
Lavoro prezioso, quindi, che pure manca. Ancora qualche settimana fa gli agricoltori hanno ricordato come per le operazioni nei campi e nelle stalle manchino ciclicamente anche centomila persone. Braccia necessarie per garantire la raccolta dei prodotti e la lavorazione dei terreni, ma anche le attività di trasformazione e quelle più specialistiche. E per capire le dimensioni della questione, basta sapere che le imprese che assumono dipendenti in agricoltura sono oltre 185mila ed occupano circa di un milione di lavoratori, per oltre 120 milioni di giornate di lavoro, di cui circa 1/3 è rappresentato da occupati provenienti da altri Paesi con, secondo Coldiretti, rumeni, indiani, marocchini, albanesi e senegalesi in testa alla classifica delle nazionalità più presenti.
Andrea Zaghi
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