«Brain rot», «marciume cerebrale». Secondo l’University Press, casa editrice del celebre vocabolario di lingua inglese “Oxford English Dictionary”, è questa la parola che più di tutte riassume il 2024. Il neologismo descrive «il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona come conseguenza di un consumo eccessivo di materiale – in particolare di contenuti online – considerato banale o poco stimolante».
Fare scrolling, scorrere rapidamente immagini o testi, porta facilmente a visualizzare contenuti di bassissima qualità che, in buona sostanza, riempiono il nostro cervello di rifiuti. A parlare per la prima volta di brain rot fu, nel 1854, il filosofo statunitense Henry David Thoreau: all’epoca non c’erano smartphone, tablet o pc su cui visualizzare contenuti di bassa lega, ma gli esseri umani tendevano comunque a preferire materiali poco impegnativi.
La mente è come una valigia: se la si riempie di cose superflue o inutili, si finirà per non portare in viaggio una maglia di lana per proteggersi dal freddo, lo spazzolino da denti o una lametta per radere la barba. Non si vuole demonizzare la leggerezza (anche se in questo caso si può parlare di ultra-leggerezza), ma l’eccesso di contenuti futili che sembra invadere Internet e, in modo particolare, i social network.
Secondo uno studio scientifico, pubblicato su “National library of Medicine”, navigare troppo (e male) il web può portare a cambiamenti nella materia grigia del cervello con alterazioni permanenti nella cognizione relativa all’attenzione e alla memoria.
Appare inoltre interessante che il tema del brain rot sia spesso trattato, sui social, dai giovani e giovanissimi appartenenti alla generazione Z (nati tra la fine del Novecento e i primi dieci anni del terzo millennio) o alla generazione Alpha (nati tra il 2011 e il 2025). Eppure, sono in maggioranza proprio questi ragazzi a usare e creare i contenuti digitali superficiali ai quali si riferisce il termine. Sono pienamente consapevoli dell’effetto deleterio che certo materiale crea nella loro mente, eppure ne sono fruitori e propagatori.
Un buon proposito per il 2025, quasi un fioretto, è ridurre la presenza sui social network per riappropriarsi della propria vita. Ci sono un sacco di cose da fare là fuori. Leggere un buon libro, per esempio: il cervello si mette in moto e non si riempie di marciume come un cassonetto dell’immondizia. O un caffè con un amico.
Ermanno Olmi, nel suo “Centochiodi”, faceva dire al protagonista del film: «Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico». Parlare e confrontarsi con gli altri allarga la mente e riscalda il cuore. D’altra parte, anche la speranza, al centro del Giubileo iniziato lo scorso 24 dicembre, ha bisogno di solide basi, di contenuti, e non nasce né mette radici né cresce in un cervello marcito.
Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato.
- Maria SS delle Tre Corone, chiesa giubilare
- “Diana Pezza Borrelli. Come un uragano”: il libro. Le anteprime a Napoli
- Una notte al Santuario di Pompei
- Din Don Art a Nocera Inferiore per il laboratorio “La creatività nella fede”
- In preghiera per papa Francesco. Invito alla Diocesi