Abbiamo il primo presidente del Consiglio donna. È donna il primo segretario del principale partito di opposizione al governo. Viviamo in una Regione seconda soltanto alla Lombardia per numero di imprese al femminile: in Campania sono 136.454 le attività con CEO donna. Vantiamo astronaute come Samantha Cristoforetti. Numerose sono le campionesse olimpiche, le scrittrici, le musiciste, le scienziate, le filantrope.
Se guardiamo alla nostra storia, tante altre donne ne hanno scritto pagine decisive e fondamentali per garantirci diritti di uguaglianza e di parità. Ciò che oggi ci sembra scontato – l’accesso alle professioni, il voto, ad esempio – è frutto di battaglie di tante donne che ci hanno precedute.
È sufficiente tutto questo per dire che il nostro è un Paese a misura di donna? Purtroppo, no. È sorprendente il contributo femminile offerto alla società nel tempo, nonostante la corsa delle donne abbia avuto sempre più ostacoli di quella dei colleghi uomini.
Accogliamo da sempre la vita, conciliamo le attività di cura e lavoro, siamo flessibili, creative, organizzate. Esprimiamo empatia e determinazione, facilitiamo il dialogo e la condivisione. Le donne hanno le qualità che nel 2025 sono sempre più riconosciute come indispensabili per una leadership efficace. A casa, ma soprattutto a lavoro.
Permane, però, un retroterra culturale che ci vede madri di minore valore se impegnate nel lavoro, lavoratrici meno intraprendenti e brillanti se votate alla famiglia. Un cane che si morde la coda. Perché, ad esempio, non si chiede mai ad un uomo di spicco come faccia a conciliare famiglia e lavoro?
Mettiamo allora al centro della riflessione qualche dato: siamo investiti da un inverno demografico mai registrato prima – nei primi 7 mesi del 2024, 4.600 nati in meno – eppure le nostre città non hanno abbastanza asili nido per soddisfare le richieste delle famiglie, spingendo i genitori a adottare decisioni più costose (babysitter o strutture private) o drastiche (mamme costrette a lasciare il lavoro).
Le donne nell’Unione Europea guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. Ciò significa che le donne lavorano di fatto due mesi all’anno senza retribuzione.
Se è vero che cresce il dato delle start-up femminili in Campania, tale tendenza è da leggere alla luce dell’intraprendenza femminile stanca di ricevere porte in faccia ai colloqui dopo aver dichiarato di avere figli o desiderare di metterne al mondo. Meglio crearsi da sole il proprio lavoro.
Tutto vero e condivisibile. Perché, allora, agli eventi di promozione della parità di genere, alle presentazioni di libri sul valore D, alle campagne di sensibilizzazione sull’empowerment femminile a partecipare sono, quasi sempre, soltanto le donne?
Noi donne conosciamo bene le nostre potenzialità e le difficoltà che incontriamo quotidianamente. Siamo nate abbracciando la sfida della parità. È giunta l’ora che questa partita la giochino con convinzione gli uomini, insieme a noi donne.
Mariarosaria Petti
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