«Tutti noi dobbiamo vivere seguendo una vocazione. La mia è stata ed è una vocazione all’Amore che ha avuto una pluralità di vie e di opportunità per essere vissuta». In questa frase si racchiude l’impegno di Diana Pezza Borrelli, 81 anni lo scorso 2 gennaio. Iod edizioni le ha dedicato il libro “Diana Pezza Borrelli. Come un uragano” scritto da Maria Rita Cerimele.
Pezza Borrelli, due cognomi importanti. Il primo è quello da nubile, figlia di una famiglia dell’alta borghesia napoletana di fede cattolica. Il secondo è quello del marito Antonio, scultore contemporaneo, esponente di spicco dell’ex PCI, con cui è stata sposata per 42 anni, fino alla sua morte l’11 febbraio 2014. È madre di due figli Francesco Emilio e Antonio Maria, nonna di due nipoti. Educata al bello, «la bellezza nessuna deve togliermela», e al dialogo, vive appieno queste dinamiche con tutte le sue forze. Anzi, con tutta la sua libertà. A chi le dice che è forte, lei risponde: «No, sono libera! La libertà è la mia forza».
Diana, se le dico donna qual è la prima cosa che le viene in mente?
«Dono. Dire donna è dire dono»
Se fosse stata un uomo crede che avrebbe avuto gli stessi stimoli e opportunità? Sarebbe cambiato qualcosa? È la femminilità che l’ha resa un «uragano»?
«Ci sono tanti uomini straordinari. Ma io sono grata a Dio per essere nata donna perché mi ha aiutato a cogliere fino in fondo i doni che ci sono dati. La donna ha una intuizione che le viene dalla sua maternità, dalla tendenza naturale all’accoglienza e all’incontro con l’altro. L’esempio per eccellenza di questa comunione è l’incontro tra Maria ed Elisabetta. Può darsi che gli uomini abbiano più credito, ma essere donna ti dà una marcia in più, un’apertura in più, una capacità di soffrire in più, di accogliere».
Quali donne hanno fatto la differenza nella sua vita?
«Sicuramente la mia mamma, che nel 1937 scelse di sposare un vedovo di 14 anni più grande che aveva già due figlie. Lei ha saputo educarci ad essere sorelle e fratelli (in casa Pezza c’erano sette figli, un maschio e sei femmine, ndr). Ci spinse a fare lo Scout, con le mie sorelle abbiamo fondato il primo reparto di scoutismo femminile a Napoli. Ma hanno fatto la differenza anche le mie sorelle: le prime due negli anni Cinquanta girarono l’Europa in autostop. Tutte hanno studiato e hanno avuto capacità non solo nozionistiche; hanno saputo autodeterminarsi nella vita e nel lavoro.
Ci sono poi Chiara Lubich e Alberta Levi Temin. Sopra tutte però c’è Maria: medito in questa ragazzina – aveva solo 14 anni – l’esempio di una donna che in una società maschilista è stata capace di autodeterminarsi, di darci il figlio di Dio, affrontare un viaggio, un parto, una croce. È il top, l’esempio degli esempi. Chiara Lubich ci diceva: “Recita le litanie e rispecchiati in essa”, in Maria».
Nel libro Lubich è citata perché caratterizza la sua vita. La definisce con una frase?
«Una donna tutta al maiuscolo. Poi, nella mia vita, ha saputo conoscermi e capirmi. Ci siamo scritte per anni, ma l’ho incontrata personalmente solamente nel 1996. Rispondendo ad una mia lettera mi indicò una Parola per la vita: “In Lui voi siete perfetti”. Cosa significava, mi chiesi? L’ho capito nel tempo. Quando ci incontrammo la salutai e lei mi disse: “Ah, tu sei Diana!”. Inoltre, nel 1995, quando mi fu chiesto di candidarmi alle elezioni regionali, con l’allora PDS, Chiara mi disse di sì. Mi ha sempre sostenuto in questo percorso di impegno civile».
Voglio richiamare anche la figura di Alberta Levi Temin, sopravvissuta al rastrellamento del ghetto di Roma nel 1943 ad opera dei nazisti. È stato un incontro tra donne, tra culture e fedi diverse, ma soprattutto una esplosione di vita.
«È proprio così. L’ho conosciuta nel 1983, quando Chiara Lubich ci chiese se nelle nostre città ci fossero Sinagoghe, Moschee, Templi Hindu e altri luoghi di culto, io andai in Sinagoga e la incontrai. Mi hanno accolto con tanta familiarità, invitandomi a tante loro iniziative. A proposito, mi hanno perdonato anche un travestimento poco opportuno dei miei figli in occasione di una Festa delle candele. Alberta me lo fece notare dopo qualche settimana, quando eravamo da sole in macchina. Io e lei eravamo come sorelle.
Mi emoziona ancora ricordare le sue parole ai ragazzi delle scuole che visitavamo: «Parla lei a nome mio». Un incarico gravoso raccontare la persecuzione che aveva subito. Il rapporto tra Alberta e me è stato Vangelo vivo, nessuno di noi ha cercato di convertire l’altra. Ci siamo rispettate nella diversità, puntando alla pace e alla fraternità universale. Non abbiamo sempre trovato porte aperte, ma abbiamo affrontato tutto insieme».
Il rapporto con la fede. Le gioie e i frutti sono stati abbondanti, ma le fatiche non sono mancate. Guardando a Maria, cosa le ha insegnato?
«Maria è la strada che porta a Dio. È Maria la strada che porta all’umanità. Come ho già detto, non si può non guardare a Maria».
Tra le sue passioni c’è la politica. È stata impegnata in prima persona. L’impegno femminile può essere garantito dalle quote rosa?
«Assolutamente no. Sono contraria alle quote rosa. Quando in questa provvidenziale apertura di conoscenze abbiamo fondato Emily noi abbiamo sostenuto tante donne, Rosetta Iervolino ne è un esempio. Ma non abbiamo pensato alle quote rosa, abbiamo affermato il valore e la competenza delle donne. Tuttavia, il potere è ancora troppo maschile.
Accade anche nella Chiesa. Fortunatamente papa Francesco ha aperto in questo: suor Raffaella Petrini, governatrice dello Stato della Città del Vaticano; Donatella Abignente, consultrice del Dicastero per la Dottrina della Fede; Margaret Karram al Sinodo».
Diana e la famiglia. Che voto si darebbe come figlia, moglie e madre, oggi nonna?
«Lo dovete chiedere ai miei figli e ai miei nipoti. Come figlia, invece, ho fatto impazzire la mia mamma. Chi mi custodiva era mia nonna. Come si divertiva quando facevo qualche marachella, il suo sorriso cancellava ogni attrito. Io ho sognato il matrimonio certamente per amore di Antonio, ma il mio desiderio era poter allattare i miei figli. Per me l’allattamento era una comunione di dialogo con questi figli che amo tanto».
Napoli è donna. È Partenope. Senza Napoli non sarebbe la Diana che conosciamo. Ma anche Napoli non sarebbe la città che amiamo se non ci fosse lei e tante donne forti e coraggiose, libere, tenaci come lei. Un binomio, Napoli e la donna (le donne), che dovrebbe essere approfondito?
«La prima donna medico è a Salerno, Trotula. Ci sono le donne, madri, mogli e vedove dei pescatori, dei marittimi, che hanno portato avanti generazioni. Marianna ‘a Capa ‘e Napule che sta a Palazzo San Giacomo. Le anime delle Quattro giornate. Matilde Serao. Sicuramente la generosità del popolo napoletano è espressa dalle donne. È da loro che viene fuori quella vita di cui beneficia tutta la città».
Un esempio di donna per le donne.
In foto. 2 maggio 1996, fondazione del Movimento politico per l’unità. Nella foto scattata a Napoli ci sono, insieme a Chiara Lubich, alcune persone impegnate in politica tra cui Diana Pezza Borrelli ed Argia Albanese, attuale presidente dell’MPPU – archivio famiglia Pezza Borrelli.
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