Il mio sì a Dio

Intervista doppia a suor Agnese Federica Piscopo e suor Barbara Zybek sul ruolo della donna nella Chiesa.
Suor Agnese Federica Piscopo

Il contributo specifico delle donne alla vita della Chiesa, le sempre maggiori responsabilità loro affidate nella comunità ecclesiale, l’espressione della femminilità all’interno di una comunità religiosa. Sono questi alcuni dei temi trattati nel corso di due piacevoli ed interessanti conversazioni con suor Agnese Federica Piscopo e suor Barbara Zybek.

Suor Agnese Federica, classe 1993, è originaria di Arzano, e lo scorso 7 dicembre ha emesso la sua professione solenne nel monastero delle Clarisse di Nocera Inferiore. Mentre suor Barbara, classe 1962, polacca originaria di Brzeźnica (nella diocesi di Cracovia), dal settembre scorso è ad Angri come superiora della Casa Madre delle Battistine.

Ad entrambe abbiamo rivolto le stesse domande, così da provare anche a cogliere le sfumature e i differenti punti di vista propri di una consacrazione di vita contemplativa e di una consacrazione di vita attiva.

Cosa si può rispondere a chi sostiene che le donne oggi hanno ancora troppo poco spazio nella Chiesa?

Suor Agnese Federica: «In realtà, oggi le donne possono trovare nella Chiesa un portone spalancato, e questo anche grazie alle riforme che sta mettendo in atto papa Francesco. Io, come donna, non mi sono mai sentita non-parte della Chiesa. Poi sono entrata in un ordine monastico che ha come fondatrice una donna, anzi la prima donna ad aver scritto una regola, cosa impensabile al tempo di Chiara, la quale ha saputo farsi valere, senza mai schernirsi, piuttosto avendo il coraggio anche di schierarsi contro il Papa. Io non mi sono mai sentita “meno” rispetto agli uomini. Le possibilità oggi ci sono; tuttavia, le donne non devono pretendere di fare tutto ciò che fanno gli uomini, quasi a volerli imitare».

Suor Barbara: «Stare nella Chiesa vuol dire servire, mettersi al servizio degli altri, a cominciare dal Papa e dai vescovi. Penso che noi donne non abbiamo bisogno di più “potere” all’interno della Chiesa; piuttosto siamo chiamate a dare testimonianza, non con le parole, ma innanzitutto con la vita. Se guardiamo all’oggi, le donne hanno in realtà grandi compiti e responsabilità. Penso a suor Simona Brambilla, che, dopo aver speso la sua vita per la missione e per i poveri, da alcune settimane è la prima donna prefetto di un dicastero della curia romana, o a suor Raffaella Petrini, nominata dal Papa come presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Tante donne poi guidano Università cattoliche nelle quali si formano uomini e donne che poi lavoreranno al servizio degli altri».

Come si riesce ad esprimere la femminilità all’interno di una comunità religiosa o monastica?

Suor Agnese Federica: «Innanzitutto sottolineerei che essere monaca o suora non vuol dire perdere la femminilità. La femminilità non si toglie mettendo un velo o un abito. Noi siamo chiamate a viverla in modo diverso. Penso anche al modo di vestire: ovunque ormai ci sono dei canoni da rispettare, noi invece nella nostra essenzialità siamo quelle che siamo. Poi esprimiamo la femminilità anche in quei gesti di maternità, di affetto, di delicatezza che poniamo sia tra noi che viviamo insieme sotto lo stesso tetto, sia con chi viene in monastero in cerca di un consiglio, di una parola buona o semplicemente di ascolto».

Suor Barbara: «Mi ritornano in mente le parole di sant’Alfonso Maria Fusco, che esortava le suore così: “Che cosa credete di essere venute a fare qui? Forse a formare una famiglia qualunque? No, no. Siete venute a formare una famiglia di sante”. C’è un grande compito davanti a noi. È molto importante offrire la nostra maternità spirituale, metterci in gioco con le nostre opere educative. Sant’Alfonso riteneva indispensabile far formare le suore, affinché potessero dare una buona educazione ai bambini, che sono il futuro di ogni società. Vorrei dire che noi esprimiamo la nostra femminilità anche attraverso la sponsalità, e quindi con la vita di preghiera, o stando davanti a Gesù in adorazione. Questo ci aiuta a portarlo agli altri, ai bambini, a chi ha bisogno, alle consorelle che attraversano momenti difficili. Anche io, come responsabile della mia comunità, posso offrire un sorriso, una parola buona, un abbraccio, la mia vicinanza».

Suor Barbara Zybek

Qual è il contributo specifico che le donne possono dare alla vita della Chiesa?

Suor Agnese Federica: «Direi innanzitutto l’attenzione, la cura, lo sguardo materno. Ogni donna ha questo lato materno, ma anche molti uomini e molti sacerdoti possono averlo. Si tratta a volte di piccoli gesti di attenzione. La donna, a mio avviso, ha generalmente un’attenzione in più rispetto all’uomo. La donna in alcune situazioni va più in profondità, mentre l’uomo tende a restare in superficie. Sono sguardi diversi l’uno dall’altro. Tutto sta nel provare a completarsi a vicenda».

Suor Barbara: «Io sono cresciuta avendo come vescovo della mia diocesi Karol Wojtyla. Nel 1978 frequentavo il liceo quando venne eletto Papa. E da Pontefice, nel 1995, scrivendo alle donne del mondo intero, utilizzò parole bellissime per ringraziarci: “Grazie a te, donna-madre, donna-sposa, donna-figlia, donna-sorella, donna-lavoratrice, donna-consacrata”. E poi: “Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!”. Papa Francesco in diverse occasioni ha ripetuto che la donna è “colei che fa il mondo bello”. Io penso che ogni donna possa e debba trovare la sua vocazione: non tutte si sposano, non tutte entrano in un convento, ma tutte possono trovare il loro posto nella Chiesa e nella società».

Le donne protagoniste nella Chiesa sì, ma non in convento o in monastero: sarebbe una vita sprecata. Obiezione antica ma sempre attuale. Come si risponde?

Suor Agnese Federica: «In verità lo pensavo anch’io prima di seguire la mia vocazione. Oggi parlerei di una vita donata, anche se mi rendo conto che è difficile far capire il passaggio da vita sprecata a vita donata. La nostra vita è donata, sull’esempio di Gesù che in tutto si è donato a noi, come ricorda anche Chiara d’Assisi. D’altronde, seguendo questo ragionamento, anche il matrimonio sarebbe una vita sprecata poiché ci si dona solo a quel marito o a quella moglie. La nostra è una vita completamente donata per Dio e per l’umanità, non per noi stesse. Anche se può sembrare assurdo, noi monache di clausura siamo in mezzo al mondo, perché con la nostra preghiera arriviamo dove umanamente non si può arrivare. Inoltre, tutto quello che noi doniamo con la vita è nascosto: non riceviamo applausi, anzi non sappiamo nemmeno se la nostra preghiera e i nostri sacrifici hanno fatto bene a qualcuno. Perciò il nostro è un particolare, direi un nel , non chiuso dietro la grata ma con orizzonti ben più ampi».

Suor Barbara: «Per le persone che sono lontane da Dio, non è facile capire la nostra donazione totale a Lui. La nostra vita non è mai sprecata, ma donata al servizio di Dio e degli altri. Chi guarda con gli occhi del mondo, in cui regna oggi una cultura che mette al primo posto cose ritenute più importanti per la vita, non riesce a comprendere bene e a fondo. La vita in convento è bella. E spero che la gente, guardando me, possa sempre dire: la sua non è una vita sprecata».

Grazie suor Agnese Federica, grazie suor Barbara per la vostra testimonianza e per quanto donate al mondo.

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