Iscritto alla Facoltà di Ingegneria Biomedica, a metà anno accademico si accorge che gli manca qualcosa. La storia e il percorso vocazionale di Vincenzo Spinelli, che sarà ordinato presbitero il prossimo 28 giugno.
di Antonietta Abete
Diventare ingegnere può rendermi felice?”. È l’anno 2011 e Vincenzo Spinelli è iscritto al primo anno di Ingegneria Biomedica all’Università degli Studi di Napoli Federico II, è ben inserito nel tessuto universitario ed ha superato brillantemente gli esami della sessione estiva. In questo quadro perfetto, nel cuore del giovane di Nocera Inferiore ritorna quell’antica domanda di senso sulla propria vita. Domanda che da anni si porta dentro.
Classe 1991, ha frequentato fin da bambino la Cattedrale di San Prisco a Nocera Inferiore, membro del gruppo ministranti. Racconta: «Ero attratto dal sacro». Durante gli anni della Scuola media partecipa ad un ritiro vocazionale organizzato dai seminaristi della diocesi: «In quell’occasione ho avvertito che il Signore mi chiedeva qualcosa in più, ma non avevo capito bene cosa». E subito aggiunge: «Ho tenuto a bada quella sensazione».
Continua gli studi, si iscrive al Liceo scientifico con quella percezione conficcata nel cuore. Un pellegrinaggio a Lourdes fuga ogni dubbio. Un episodio, in particolare, colpisce molto il giovane. «L’ammalato che mi era stato affidato sedeva in carrozzina. Alla grotta mi accorsi con stupore che non chiedeva la guarigione ma pregava per gli altri, per gli accompagnatori e per i familiari che lo accudivano. Al suo posto, avrei certamente chiesto qualcosa per me». Quando torna da solo alla grotta di Massabielle chiede a Dio cosa sta cercando di dirgli. «Ho capito che il Signore mi chiedeva qualcosa in più, mi aveva fatto tanti doni che non potevo tenere per me. Ho compreso che il modo migliore per metterli a frutto era donare la vita a Lui attraverso il ministero del sacerdozio». È convinto di voler entrare in Seminario. Ma quella luce è subito fagocitata dalla routine del quotidiano. «Frequentavo l’ultimo anno di Liceo, c’era la maturità da preparare, le uscite con gli amici, il divertimento del sabato sera». Poco alla volta quell’idea scema e si iscrive a Ingegneria Biomedica.
«Eppure – racconta il giovane – a metà anno accademico mi accorgo che mi mancava qualcosa. O, meglio, qualcuno».
Tutto sembra andare bene: la vita di facoltà, lo studio, gli esami. «Eppure – racconta il giovane – a metà anno accademico mi accorgo che mi mancava qualcosa. O, meglio, qualcuno». Vincenzo comprende che rispondere alla propria vocazione è intimamente legato all’essere felice. Inizia così un attento cammino di discernimento che gli apre le porte del Seminario. «Alla fine dell’anno accademico – ricordo ancora la data, era il 21 giugno – comunicai la mia decisione a don Mimmo Cinque».
«Finalmente hai deciso!», risponde il sacerdote che oltre ad essere il suo parroco è responsabile in quel periodo della formazione dei seminaristi. I suoi genitori, Luisa e Gerardo, faticano a comprendere la sua scelta. Ormai lo immaginavano ingegnere. «C’è voluto del tempo, sono venuti in Seminario, hanno visto l’ambiente, si sono accorti che ero sereno». Gli anni di formazione. Gli anni in Seminario sono belli e intensi. Dal primo al terzo anno è rettore don Antonio Serra, un esempio di fede e prossimità. «Mi ha insegnato che significa essere vicino alla gente, da lui ho imparato che cos’è l’empatia. Gli bastava guardarci in faccia per capire se qualcosa non andava». La sensibilità del sacerdote è affinata dalla malattia, di notte fa la dialisi, di giorno segue 120 studenti, prendendosi cura di ciascuno. «Ha subìto un trapianto. Terminato il suo incarico in Seminario – al suo posto è arrivato mons. Salvatore Angerami, vescovo ausiliare di Napoli – è ritornato a fare il parroco, solo pochi mesi perché è morto di infarto». Ma il suo esempio vive ancora in Vincenzo.
In Seminario lo studio si intreccia con esperienze importanti. «In Quaresima abbiamo visitato la Casa famiglia Sisto Riario Sforza, la struttura che ospita malati di Aids». Un incontro che insegna al giovane ad abbattere qualche muro. Sulla stessa scia la visita al carcere. «I detenuti ci hanno raccontato la loro storia. Abbiamo scoperto che nelle loro vite c’era un bisogno di paternità non appagato. L’assenza di figure importanti li ha portati a sbagliare. Ci hanno detto che per loro eravamo la speranza, chiedendoci di non dimenticarli. Un incontro che porto ancora nel cuore».
Il futuro. Il 30 giugno 2017 Vincenzo ha conseguito la Licenza in Teologia con la tesi “Le passioni dell’uomo. Origini, sviluppo e attualità dei vizi capitali”. «Vorrei imparare a cogliere le richieste mute di aiuto delle persone», dice. Forse è per questo che ha deciso di studiare Psicologia alla Pontificia Università Gregoriana, superando brillantemente i test di ingresso. La prestigiosa realtà accademica ammette a questa corso di studi solo 15 studenti all’anno, in genere si tratta di sacerdoti già ordinati. Per questo motivo Vincenzo entrerà tra due anni, nel frattempo prenderà la Licenza in Teologia Spirituale.
Il 28 giugno si avvicina. Ad ordinarlo presbitero, insieme a don Rosario Mormone, sarà il vescovo Giuseppe Giudice, che Vincenzo definisce Pastore attento e paterno, con il quale è riuscito ad instaurare un legame sincero. Affidarsi: è questa la parola che il giovane ha scelto per vivere questo tempo. «Sto riscoprendo il lasciar fare al Signore». Preghiamo perché la fiducia e l’abbandono in Dio siano lo stile del suo sacerdozio.
Auguri!