“Vado a cercare la pecora smarrita”

La Visita Pastorale è un tempo di grazia durante il quale il vescovo Giuseppe incontra tutte le parrocchie della diocesi. A colloquio con il Pastore della Chiesa della Valle del Sarno per comprendere lo stile, i tempi e i contenuti di questo importante momento ecclesiale.

di Mariarosaria Petti

Sette anni nella diocesi di Nocera-Sarno, lettere, messaggi, discorsi. L’ossatura dell’episcopato di mons. Giuseppe Giudice è diventata pian piano nitida: centralità della domenica, dell’Eucarestia, della parrocchia, l’importanza delle famiglie e dei giovani. La Visita Pastorale, annunciata il 6 gennaio 2018 in Cattedrale, sarà la prosecuzione di un cammino iniziato con il suo ingresso nella Valle del Sarno: dare concretezza e corpo all’immagine di Chiesa del Concilio Vaticano II. A colloquio con il pastore Giuseppe, che racconta l’attesa e la preparazione di uno dei momenti più importanti della nostra vita ecclesiale locale.

Che cosa distingue una semplice visita da una canonica?

«È la fede. Il dinamismo della fede è l’elemento distintivo da qualsiasi altra visita di un amico, di cortesia o di carità. “Viene a visitarmi il Signore”: questa visita del Signore oggi è mediata dalla Chiesa. La mediazione dell’Ecclesia è una realtà da riscoprire, liberandola da una dittatura del fai da te, secondo cui ognuno organizza la sua religiosità come meglio crede. Ecco perché il Pastore va a visitare una comunità, come facevano i primi Vescovi con le comunità di apostoli, fino a dare la vita».

Il Vescovo va a visitare le parrocchie ma anche le città, con le loro scuole, ospedali, istituzioni.

«Non c’è mai una comunità al di fuori di una città, di un contesto urbano, agricolo o industriale. La Visita Pastorale ha di riflesso anche l’incontro con la città: i credenti sono anche i cittadini, cioè abitano un territorio e lì sono posti come fermenti di novità. Vado a visitare una realtà umana nella sua complessità».

Nella Lettera di indizione lei riprende anche l’immagine di Maria, che si ferma da Elisabetta per tre mesi. Che tempi avrà la sua visita?

«Dobbiamo passare dal kronos al kairos: il tempo passa ma ci sono degli attimi, segnati dalla presenza del Signore, che diventano tempi favorevoli. La visita canonica dovrebbe esserne uno. Sarà un tempo di missione: le comunità che saranno visitate, nella preparazione e nel post-visita, devono sapere che sono in stato di missione. Non possiamo perpetrare una pastorale di conservazione. C’è bisogno di un tempo lungo per uscire dalla tirannia del tutto e subito. Attendiamo il tempo dei nove mesi, consentiamo al sale di sciogliersi, al chicco di grano di marcire. Dobbiamo prenderci un po’ di tempo, non per perdere tempo, ma per permettere al tempo di trasformarsi in un’opportunità, in un momento di grazia».

Quanto sosterà in ciascuna parrocchia?

«Mi fermerò nelle comunità da domenica a domenica, cercando non soltanto di guardare ma di vedere, rendermi conto. Ho scelto la domenica, perché voglio rimettere al centro il giorno del Signore, che non è il giorno “dei signori”. È il momento in cui diventiamo di nuovo figli, mettendo al centro la parrocchia come territorio, che si raduna intorno al Vangelo, all’Eucarestia e che deve servire i poveri. Le famose 3 P: Parola, Pane e Poveri».

Non sarà il controllo di un amministratore…

«È il Pastore che va ad incontrare il suo gregge. Il Vescovo è andato tante volte nelle comunità, però questa visita ha un valore in più: vado come Pastore quasi a cercare la pecora smarrita, ad incoraggiare, ad esortare, a richiamare se necessario. “Io sono venuto a cercare ciò che era perduto”: penso ai lontani, a chi magari ha avuto un’esperienza negativa con qualche sacerdote o vescovo, con altri credenti, perché forse li abbiamo amati poco, perché non li abbiamo cercati o gli abbiamo fatto vedere il Vangelo come un peso. C’è tanta gente ai margini. Il vero ostacolo non è l’ateismo ma l’indifferenza».

Un tempo importante per la Chiesa diocesana. Cosa suggerisce di fare alle comunità nell’attesa della Visita Pastorale?

«La Visita Pastorale va preparata: ho costituito una commissione diocesana, però ho anche chiesto che in ogni comunità ci sia un gruppo che possa predisporre tutto quello che serve. Come quando in una casa si sposa qualcuno. Dobbiamo rispolverare il senso del verbo “preparare”, siamo abituati alle improvvisazioni. Non si tratterà però soltanto di abbellire i nostri spazi, le comunità devono prepararsi nella preghiera ad accogliere le parole del Vescovo».

Quale sarà lo stile di questo incontro?

«Guardiamo a ciò che unisce e non a ciò che divide. Vorrei avere uno sguardo positivo, anche quando devo giudicare o correggere. Soffro quando incontro sguardi disfattivi nella nostra Chiesa, di chi non riesce a cogliere il germoglio, la bellezza di ciò che il Signore compie. Quando si appanna in noi lo sguardo della fede vediamo solo il brutto anatroccolo e non più il cigno».

Alle famiglie in crisi, alle coppie che attendono un figlio che non arriva, ai giovani con il cuore inquieto, agli anziani soli, a chi non riesce ad affrontare un lutto, ai presbiteri affaticati, a chi non trova lavoro, a chi è ammalato, a chi ha smarrito la strada, il grande dono di accogliere il Signore che viene a visitarci. Un balsamo per ogni ferita.

Pubblicato su Insieme – gennaio 2018

Foto di Salvatore Alfano

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