La storia vocazionale di Giuseppe Villani, che domenica 15 settembre, alle ore 18.30, sarà ordinato diacono da mons. Giuseppe Giudice nella Cattedrale di San Prisco.
“Hai mai sentito parlare di un Dio che gioca con un bambino?”. Il cuore della vocazione di Giuseppe Villani è racchiusa in questa domanda semplice e delicata. Classe 1994, il prossimo 15 settembre, il giovane nocerino sarà ordinato diacono, nella Cattedrale di Nocera Inferiore, dal vescovo Giuseppe Giudice.
Di Giuseppe colpisce la risata schietta, che sgorga direttamente dal cuore. Un dono che ha ereditato dalla famiglia, in particolare dal papà Mario, infermiere nel reparto di neurochirurgia dell’ospedale Umberto I.
«La nostra è una famiglia tradizionale», racconta. Vive insieme al papà, alla mamma Annarita, maestra, alla sorella Rosa, studentessa di lingue, e alla nonna paterna. Una famiglia in cui si fanno ancora gli auguri per l’onomastico e che a Pasqua e a Natale siede intorno allo stesso tavolo con zii e cugini.
La vocazione
E proprio nell’abito familiare sboccia il primo germe della vocazione sacerdotale. Da bambino, frequentava la parrocchia San Bartolomeo Apostolo a Nocera Superiore, dove tuttora vive. In quegli anni era parroco don Gaetano D’Acunzi, tornato in Cielo il 28 marzo del 2012. Andava a Messa insieme a nonna Rosa. La nonna materna, invece, viveva a Bracigliano e non usciva di casa perché era malata di cuore. Quando il piccolo Giuseppe andava a trovarla “diceva la Messa per lei”. Ripeteva con precisione i gesti che, affascinato, aveva visto compiere a don Gaetano. «Avevo il calice piccolo, tutto il necessario, facevo le cose perbene! Perché la nonna ci teneva». In questo piccolo frammento di infanzia si scorge quel tratto di sensibilità che in una vocazione cammina di pari passo con il desiderio di donare se stesso agli altri.
La parrocchia è una presenza costante nella sua esistenza. Inizia con il coro, poi diventa chierichetto, successivamente responsabile dei ministranti, poi entra in Azione Cattolica. Vive il passaggio di consegne tra don Gaetano D’Acunzi, ormai anziano, e il nuovo parroco don Andrea Amato. Cambiamento a cui se ne associa un altro, quello scolastico: dopo aver fatto materne, elementari e media a Nocera Superiore, si iscrive al Liceo classico “G.B. Vico” a Nocera Inferiore e decide di serbare nel cuore questa scintilla. «Sono gli anni più belli, quelli delle amicizia sincere, delle uscite serali, delle mille esperienze», ricorda. Ma continua a frequentare la parrocchia, nonostante i cambiamenti e lo studio impegnativo.
«Il pallino del prete però rimane. Dio era un fastidio silenzioso». Al mattino, prima di andare a scuola, si ferma in chiesa. In quel periodo la comunità Santa Maria del Presepe, nel cuore di Nocera Inferiore, inizia l’esperienza dell’adorazione perpetua. La sua classe è la prima ad organizzare il precetto pasquale, celebrato oggi per l’intero istituto.
Finito il liceo, pensa di iscriversi all’Università ma quel fastidio silenzioso lo tiene fermo al palo. Non gli era mancata negli anni la guida premurosa di tanti sacerdoti: don Roberto Farruggio, mons. Francesco Alfano, conosciuto a un campo scuola. Quando don Andrea Amato diventa parroco di Pareti e Pucciano, lo accompagna dal vescovo Giuseppe. E il 18 novembre del 2013 entra in seminario.
Il seminario
“Il tempo più bello della mia vita”, così Giuseppe definisce il percorso in seminario durato 6 anni. Tempo in cui ha sperimentato la bellezza della fraternità e della vita comune, il tempo delle domande di senso: sarò un bravo prete oppure smarrirò la strada? «È la domanda sulla fedeltà che coinvolge tutti i giovani, anche quelli che scelgono il matrimonio. La dimensione umana è quella che mi ha messo più in crisi e continua a tenermi sveglio».
Percorso che si è concluso lo scorso 28 giugno, con la discussione della tesi dal titolo “Deus ludens: l’esperienza della fede come esperienza ludica” e il conseguimento del Baccalaureato in Sacra Teologia. Un argomento originale che ha permesso a Giuseppe di spaziare tra la teologia, la psicologia, la pedagogia e la filosofia. Spiega: «C’è un passo che viene letto nella solennità della Santissima Trinità, tratto dal libro dei Proverbi. La Sapienza parla in prima persona e dice: io sono come un fanciullo che gioca notte e giorno davanti a Dio. La Sapienza è la prefigurazione di Cristo». E aggiunge che in ebraico il termine giocare equivale a danzare, a gridare di gioia. Verbi che nella Bibbia sono attribuiti a Dio in prima persona.
Lavoro di ricerca che gli ha permesso di rispondere alla domanda di senso che lo ha accompagnato fino al quarto anno di seminario. Domanda che può accomunare quanti vivono la parrocchia fin da bambini. «Quando ti viene chiesto se hai incontrato Dio, sei pronto a rispondere: “Ho incontrato la Chiesa, la parrocchia, persone che credono”. Si entra anche in seminario così! E non è una cosa negativa perché Dio usa questi metodi, usa il fascino. Va bene, poi però devi capire dove e quando l’hai incontrato».
Giuseppe ha trovato la risposta a questa domanda nel Deuteronomio (Dt 4,32-35). «Il brano biblico dice: interroga i tempi antichi e chiedi: hai mai sentito parlare di un Dio che ha liberato Israele, hai mai sentito parlare di un Dio che ha fatto uscire dall’Egitto…». Applicando questa Parola alla sua vita, il giovane pensa: «Interroga la tua storia. Cosa ha fatto Dio con me? Hai mai sentito parlare di un Dio che ha giocato con un bambino? Ho risposto così alla mia domanda di senso, che è molto più grande di quella vocazionale». Il cerchio si chiude.
L’ordinazione diaconale
Il 15 settembre è alle porte e il cuore è pervaso da un misto di gioia e timore. Ma in Giuseppe prevale l’affidamento. «Penso al Vangelo che sarà letto (Lc 15, 1-32), è quello del giorno, il Vangelo che Dio ha scelto per me. È quello delle parabole della misericordia, del figliol prodigo, della pecorella smarrita, della moneta trovata». E ogni preoccupazione passa in secondo piano.
Auguri Giuseppe, preghiamo per te!
Antonietta Abete