La didattica a distanza è stata preziosa, ma la scuola non può restare a casa troppo a lungo. Cosa ci aspetta a settembre?
di Rosanna Di Giaimo
La generazione del coronavirus ha concluso il suo percorso di studi tra dubbi, inquietudini e contraddizioni. La scuola non si è fermata e comincia, ora, a pensare al suo futuro prossimo e remoto.
Ma, a settembre, in prossimità dell’autunno, ci sarà da fare i conti con la paura del contagio.
La storia ci insegna che le società moderne, dopo le pestilenze, riproponevano strutture sociali ed economiche chiuse ed il rischio di una involuzione della società è possibile.
Questo stesso timore, tuttavia, che sia fondato o no (ma pare di sì), può essere il motore di un cambiamento radicale e lento al contempo: ridisegnare modelli di città, unità abitative e ambienti lavorativi secondo rinnovati spazi e tempi.
Per la scuola è, questo momento, un’occasione che istituzioni e società civile non dovrebbero lasciarsi sfuggire. Se non ora, quando? Ogni soluzione, tra quelle di cui veniamo a conoscenza in questi giorni, è una misura emergenziale. Serve, invece, una “idea” di scuola.
Classi di 15 studenti. Una edilizia adeguata ai bisogni formativi. Rimodulazione nel senso qualitativo dei contenuti disciplinari da proporre. E potenziare negli allievi l’autonomia nello studio, la passione per la ricerca, la curiositas, la capacità di utilizzare conoscenze e abilità e tradurle in competenze. Una rivoluzione copernicana, dunque, del sistema insegnamento-apprendimento.
Certo, non si fanno i conti senza l’oste. È necessario che si vari un vero e proprio piano di investimenti e il Ministro ha assicurato che si stanno mobilitando risorse per 4 miliardi ed altri 330 milioni di euro saranno investiti in edilizia leggera.
La didattica a distanza è stata preziosa, ma la scuola non può restare a casa troppo a lungo.