Una panchina rossa non basta

Durante il lockdown sono aumentati i casi di violenza contro le donne. Sono 59 le donne uccise in Italia nel primo semestre dell’anno, il 45% degli omicidi totali. A fotografare la realtà, il report del Servizio analisi criminale interforze del Ministero dell’Interno. Ne abbiamo parlato con la giovane penalista di Nocera Inferiore, Maria Del Sorbo. 

di Mariarosaria Petti

Il lockdown non ha fermato la violenza contro le donne. A confermarlo è il report del Servizio analisi criminale interforze del Ministero dell’Interno. L’organismo che mette insieme i dati provenienti dalla polizia e dai carabinieri, dalla finanza e dalle guardie penitenziarie mette in luce la crudezza della realtà: sebbene nei primi sei mesi del 2020 in Italia sia calato il numero degli omicidi, è aumentato quello dei femminicidi.

Sono state 59 le donne uccise in questo primo semestre, se nel 2019 costituivano il 35% degli omicidi totali, quest’anno l’incidenza si attesta al 45%. I numeri confermano che è l’ambito familiare ed affettivo il principale terreno in cui maturano violenze di genere. Su 69 omicidi avvenuti in famiglia, 53 le vittime di sesso femminile.

E se le statistiche sembrano fredde e asettiche, possiamo ricordare alcune delle storie che ci sono dietro. In Campania, negli ultimi 6 mesi, 5 donne sono state vittime di inaudita violenza.

Uno dei pochi strumenti a disposizione di chi era costretta a rimanere in casa durante il lockdown con un convivente violento è stato il numero verde contro la violenza e lo stalking (il 1522) messo a disposizione dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il numero è sempre attivo, anche ora, ed è utilizzabile 24 ore su 24. Molte donne hanno telefonato fingendo di ordinare una pizza. Campanello d’allarme che ha messo subito in moto la macchina dei soccorsi. Se anche tu sei vittima di violenza di genere, telefona ad 1522. Non sei sola.
Le vittime in Campania

Lucia Caiazza è morta il 14 maggio a Frattamaggiore, a causa di gravissime lesioni interne provocate dalle botte del compagno con cui aveva trascorso il lockdown.

Il 23 luglio, a Caserta, si è consumato il matricidio della cinquantaquattrenne Rubina Chirico, morta accoltellata dal figlio mentre dormiva.

La ricercatrice del dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, Maria Adalgisa Nicolai, è stata uccisa e sventrata dal partner a Portici, il 27 luglio. Un mese prima aveva chiesto aiuto ad un’associazione che tutela le vittime di violenza.

È stata trovata ancora con il coltello piantato nel petto Francesca Galatro, di 66 anni e residente in una casa di accoglienza a Vallo della Lucania, stroncata dal compagno per bieca gelosia. Fino ad arrivare al femminicidio consumatosi nel nostro Agro nocerino-sarnese, quello di Luana Rainone, ritrovata in un pozzo a Poggiomarino, uccisa dall’amante durante una feroce lite.

La penalista Maria Del Sorbo

«I maltrattamenti in famiglia sono i casi che seguo con maggiore frequenza» racconta l’avvocato penalista Maria Del Sorbo, che lavora tra Nocera Inferiore e Angri. «Le vittime sono quasi sempre le donne e, quando presenti, anche i figli a carico – prosegue. – Segue poi tutta la categoria degli atti persecutori, dagli inseguimenti alle telefonate frequenti, ai pedinamenti. Tutto quanto inserito dal legislatore all’art. 612 bis del Codice penale sotto il grande cappello dello stalking».

Questo lo spaccato dei casi di violenza di genere processati al Tribunale di Nocera Inferiore. «Oggi, fortunatamente, abbiamo una corsia preferenziale grazie al Codice rosso e alla legge sul femminicidio». Dalla denuncia della vittima, il Pubblico Ministero ha due giorni di tempo per convocarla e ascoltarla e il procedimento è trattato in via urgentissima.

Anche per le misure cautelari vi sono particolari disposizioni: per revocare una misura restrittiva il magistrato deve prima chiedere un parere alla persona offesa. «Nella maggior parte dei casi, si rivolgono a me donne che sono vittime da anni di violenze fisiche o psicologiche e che non riescono più a sostenere tale situazione. Spesso sono accompagnate da familiari che le aiutano a presentare i fatti con sincerità. Le donne sono sempre reticenti, cercano forme di protezione dei loro compagni o mariti» dichiara Del Sorbo.

La penalista ravvisa due costanti: «Si tratta quasi sempre di donne non autosufficienti economicamente e con un livello di istruzione medio-basso».

È per questo che una panchina rossa non basta più. È necessario sostenere la formazione e l’educazione delle donne, permettendo a tutte di accedere al mondo del lavoro. Le mamme, anche senza aiuti familiari per la gestione dei figli, devono essere messe in condizione di potersi dedicare alla loro professione. Donne autonome, libere, istruite sono la soluzione al dilagare della violenza di genere. Alla violenza si risponda con la cultura. Il tempo degli slogan è finito.

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