In Burkina Faso con don Andrea Annunziata è all’undicesimo giorno di viaggio missionario. Il 27 febbraio è stata una giornata molto forte, sia per l’intensità degli incontri ma anche per i chilometri percorsi.
Pensavo che ieri fosse stata la giornata più intensa, nonostante sapessi che oggi sarebbe stata una giornata dura e faticosa, ma mai avrei potuto immaginare quello che poi è successo. Raccontarla richiederebbe un libro, sintetizzare tutto è veramente difficile, ma farò del mio meglio.
Oggi ho due missioni da compiere: fare visita al villaggio di Nicchiemestenga (mi perdonerete se non si scrive proprio così) e fare visita ad una alla piccola Mariateresa. Partiamo. Prima sosta: acquisto latte in polvere per la bimba e rifornimento gasolio. Seconda sosta: acquisto di 50 kg di riso per la famiglia della bimba, 50 kg per il villaggio e 25 kg per il capo villaggio.
Quando con il gruppo missionario Saagà Gomtigò della parrocchia di San Giovanni Battista in Cicalesi di Nocera Inferiore si decise di fare un pozzo mi fu chiesto: «Dove lo volete fare?». Consapevole di cosa stessi dicendo risposi: «Nel posto più sperso e disagiato». Inaugurammo il pozzo anni fa e già fu una emozione forte: arrivammo mentre i lavori erano in corso e stavamo lì mentre la trivella fece schizzare in aria l’acqua appena trovata. L’emozione fu grande per tutti! Oggi ho capito più di allora il perché. Credo che questo episodio sia raccontato nel libro scritto dal dott. Salvatore Guerriero (per chi volesse leggerlo, penso che nella mia parrocchia ci sia ancora qualche copia).
Verso Nicchiemestenga
Per andare a questo villaggio si percorre per una ventina di minuti una strada asfaltata, per una oretta la strada in terra battuta e per mezz’oretta nulla: piena savana con un segno a terra lasciato dalle moto o dalle bici. Questo villaggio si trova a Nord, verso il deserto del Sahara, quindi man mano che andavamo avanti tutto diventava più secco e arido. Anche la vegetazione diventa meno presente, aumenta la sabbia.
È il posto più difficile da raggiungere e dal giorno dell’inaugurazione non ero più tornato, proprio per questo motivo. Quest’anno ero venuto con il preciso intento di andarci. In questi giorni avrò detto a Paul (la nostra guida e il nostro traduttore) almeno 100 volte: «Quando andiamo a Nicchiemestenga?».
Abbiamo appuntamento ad un determinato punto della strada in terra battuta con alcuni che poi ci guideranno per il resto della strada, nel frattempo che arrivano ci fermiamo a giocare a biliardino con dei ragazzi del posto.
Arriviamo al villaggio. È sabato e non si va a scuola. Tantissime persone ci attendono e ci accolgono, anche qui tamburi e danze, camminiamo verso il luogo dove è stato preparato per l’incontro. C’è tutto un rituale che ormai conosco bene e ci inseriamo con discrezione nelle loro tradizioni, aspettiamo che le donne ci portino l’acqua dell’accoglienza. È sacro accogliere l’ospite con l’acqua con l’aggiunta di miglio e altre spezie. Prima avevo paura di bere, ora non più.
Grazie
Iniziano i discorsi, sono seduto accanto al capo villaggio e agli anziani. Accanto a me c’è Grazia che ha condiviso con me questa esperienza e di fronte Paul che ci fa da interprete.
Grazia si presenta e poi tocca a me. Dico chi sono, dico che anni fa gli ho fatto visita come benefattore, oggi gli faccio visita come amico, non so se loro capiscono. Ma io sì, è importante per me essere consapevole di ciò che sono e del perché sono qui. Paul traduce, spiega, parla in Mooré, lingua che tutti intendono. Mi applaudono.
Si alza un loro delegato e inizia a ringraziarci: grazie per il pozzo, grazie per l’acqua. Grazie perché nemmeno noi sapevamo quante cose avremmo potuto fare con questo pozzo. Grazie perché non solo noi non moriamo più per la sete, ma anche i nostri animali.
Grazie perché in alcuni periodi dell’anno gli animali hanno pochissimo cibo, ma non muoiono più come prima, perché sanno che vengono qui e trovano l’acqua. Gli animali non muoiono più e se non muoio loro anche noi viviamo meglio. Grazie per lo sviluppo che ci avete permesso di fare.
Senza parole
Immaginate io come mi sia sentito? Immaginate che differenza abbia fatto il gesto di tanti nostri amici che ci hanno permesso di realizzare il pozzo? Se sto scrivendo tutte queste cose non è perché voglio che sappiate che sono bravo o non sono bravo. Voglio che sappiate che quando facciamo le cose, facciamo la differenza tra la vita e la morte, tra sopravvivere e dare dignità alle persone o lasciarle sopravvivere. Mentre stavo seduto e ascoltavo, ho guardato il pozzo e ho visto le caprette che correvano verso l’acqua. Ho pensato a quelle che ho lasciato nel giardino della parrocchia. Ci ho messo un po’ a capire che i discorsi erano finiti, ci ho messo un po’ a tornare in me e continuare la cerimonia. Ho detto solo Barca, che in Moorè significa Grazie!
Poi abbiamo iniziato la distribuzione delle caramelle e ho spiegato che alla prossima festa che avrebbero fatto come villaggio ci tenevo che consumassero insieme il riso che gli ho portato e che facessero una preghiera di ringraziamento per tutti quelli che hanno permesso di far fare il pozzo. Poi ho dato il riso al capo villaggio e lui ha detto che la preghiera di ringraziamento l’avremmo fatta insieme. Così è stato. Il tempo passa, riprendiamo la via di casa.
Il messaggio di Milena
Lungo la strada ogni tanto ci fermiamo, qui non sono abituati a vedere i bianchi. I bimbi hanno paura, scappano. Ma i più coraggiosi si avvicinano e ricevono le caramelle e una stretta di mano. Facciamo oltre un’ora di viaggio e ci dirigiamo verso la seconda missione di oggi.
Mi ha contattato Milena di San Marzano alcuni giorni fa, una mia carissima amica. Mi scrive su WhatsApp: «Caro don Andrea so che sei a Koupela, abbiamo adottato una bimba tramite suor Caterina, provvedi tu e poi ci penso io. Ovviamente io comunico subito a suor Caterina la mia disponibilità». Immaginate me dopo quello che era successo al villaggio, la mia testa era tra le nuvole. Non avevo dato grande peso a questa seconda missione, non avevo capito bene di cosa si trattasse. Ero disponibile (e ci mancherebbe) ma più per Milena e invece un’altra grande esperienza.
L’incontro con Mariateresa
Ci avviciniamo a questo piccolissimo agglomerato di case e mentre aspettiamo la famiglia che dobbiamo incontrare tiro fuori il mio classico sacchetto di caramelle e inizio a dare qualche bonbon (cosi chiamano qui le caramelle) ai presenti. Nel frattempo Grazia inizia a chiedere a Paul maggiori informazioni riguardo questa bimba e del perché stessimo portando cibo e latte. La bimba è rimasta orfana di madre due giorni dopo il parto e ora che ha sei mesi è accudita da una zia del padre. Arriva questa signora con la bimba: Mariateresa.
Non sappiamo bene come comportarci, non sappiamo bene cosa dire, ma Paul risolve subito la cosa e fa le consegne. Grazia (grande donna!) allunga le braccia e prende la bimba che subito risponde. Parliamo con quelli della famiglia e chiediamo più informazioni e mentre parliamo Grazia mi fa: «Don Andrea la bimba vuole venire in braccio a te».
Non prendo mai in braccio i bimbi. Non mi era mai capitato che un bimbo volesse venire in braccio a me. Eppure Mariateresa quasi stendeva le braccia per venire da me e quando dopo qualche reticenza l’ho presa, si è subito messa a giocare con la mia barba. Il cuore si è sciolto. Ho guardato Grazia e siamo rimasti senza parole.
Don Andrea
Don Andrea e Mariateresa Grazia e Mariateresa