Nuovo appuntamento con la rubrica culturale “I tesori del Museo diocesano” a cura del direttore del Museo “San Prisco”, Salvatore Alfano.
Sin dal primo ‘800 la legislazione pontificia contiene idee innovative in tema di musei. I principi contenuti in un noto documento, il Chirografo di Pio VII, dell’ottobre 1802, sono alla base dell’Editto Sopra le antichità e gli scavi, opera del cardinale Bartolomeo Pacca, che è considerato uno dei fondamenti della legislazione moderna in tema di beni culturali. Le prescrizioni riportate in materia di tutela e conservazione si riferiscono anche ai beni archivistici e librari e hanno sempre avuto una prospettiva non solo culturale ma anche pastorale.
A tal proposito sono dei primi decenni del secolo scorso le Lettere di indirizzo che chiedono alle singole Diocesi la formazione di apposite Commissioni per l’Arte Sacra e di “fondare (…) un Museo nell’Episcopio o nella Cattedrale” proprio per sottolineare il legame che le raccolte dovevano mantenere con il territorio diocesano e la sua storia.
Nel corso del XX secolo le indicazioni sono diventate più precise e stringenti e più proficuo è divenuto il rapporto di cooperazione tra la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, gli Uffici CEI preposti e le singole Diocesi per la costituzione di musei, archivi e biblioteche, al fine di raccogliere e custodire i beni artistici dei singoli territori, sulla scia di quanto affermato da Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica Pastor Bonus: “per essere a disposizione di tutti coloro che ne hanno interesse”.
Mi piacerebbe far risuonare, con le dovute differenze di carattere storico, le parole dei testi ottocenteschi citati in contrapposizione alla condizione nella quale versano, ancora oggi, i beni culturali a livello locale, forse perché ritenuti di secondaria importanza o, forse, perché meno visibili e fuori dai circuiti alla moda.
Oppure, come credo, solo perché non si ha la minima cognizione della ricchezza che potrebbero rappresentare per un intero territorio.
Si legge, infatti, in questi documenti del primo Ottocento che le spese per i Beni culturali sono in aumento: “nonostante le ristrettezze dei tempi (…) sicuri che la spesa diretta, al fine di promuovere le Belle Arti, è largamente compensata dagli immensi vantaggi che ne ritraggono i Sudditi e lo Stato”.