Complimenti alla città di Napoli. Da un mese è stata messa in atto un’azione di pulizia (e polizia) finalizzata alla rimozione dei simboli camorristici. Via murales, altarini e tutto quanto inneggi a piccoli e grandi boss, di ieri e di oggi. Per troppo tempo si è accettato che qualcuno abusasse degli spazi pubblici per realizzare memoriali di cui non si ha bisogno.
Emblematica l’operazione di qualche giorno fa a Forcella. È stata smantellata un’edicola in ricordo di Emanuele Sibillo, ES17, capo della paranza dei bambini freddato a 20 anni il 2 luglio 2015. Era diventato un feticcio di cattivo gusto. Prima che gli venisse formulata la richiesta di “pizzo”, un negoziante fu costretto a prostrarsi davanti alla riproduzione della testa del boss e alle sue ceneri custodite su un altare dedicato alla Madonna. Intollerabile. Come Chiesa non dobbiamo stancarci di ripeterlo.
«Sibillo – afferma il magistrato Catello Maresca in un docufilm sulla storia di ES17 – per molti ragazzi è diventato un mito che continua a sopravvivere nel vuoto di riferimenti di questa generazione. Un vuoto che sanno colmare solo con la violenza, l’unica speranza a portata di mano».
Nei nostri territori attenzione agli aspiranti Sibillo, che si abbeverano agli ideali di violenza e prevaricazione rappresentati da queste persone. La rimozione anche da noi dei simboli che inneggiano a esempi controversi – nelle nostre città abbondano i murales – non è più rinviabile.
C’è bisogno di una inversione di tendenza culturale. Guai a prendere sotto gamba fenomeni di questo tipo o a considerarli piccoli soprusi. «La camorra è un albero che affonda le radici in quel terreno maledetto che è la subcultura camorristica», ha scritto padre Maurizio Patriciello.
Rimuovendoli cominceremo a mettere un argine alla voglia dei ragazzini che sognano di diventare camorristi.
Sa. D’An.