Giuseppina Schiavone stringe al petto il piccolo Alfonso Maria, papà Aniello lo guarda dolcemente. Occhi umidi e cuore grato. È il 23 marzo del 1839 e la primavera è finalmente arrivata anche nella loro casa. I coniugi Fusco hanno atteso il suo arrivo per 4 lunghissimi anni. L’anno prima da Angri erano andati a Pagani, dove sono custodite le reliquie di sant’Alfonso Maria de Liguori, a pregare sulla sua tomba.
Quel giorno il Redentorista Francesco Saverio Pecorelli disse loro: «Avrete un figlio maschio, lo chiamerete Alfonso, sarà sacerdote e farà la vita del Beato Alfonso». Il bambino ha un carattere mite, sensibile alla preghiera e attento ai poveri. La mamma, un giorno, lo sorprende mentre rovista nel cassetto della biancheria: il suo amico Vincenzino ha la febbre alta e neppure un paio di lenzuola per cambiare il letto. In un’altra occasione, con un metro in mano, Alfonso misura le pareti di casa per capire quanti bambini poveri può ospitare.
A sette anni riceve la Prima Comunione e, subito dopo, anche la Cresima. A undici anni manifesta ai genitori la volontà di diventare sacerdote: il 5 novembre 1850 «spontaneamente e soltanto col desiderio di servire Dio e la Chiesa», come egli stesso dichiara molto tempo dopo, entra nel Seminario Vescovile di Nocera dei Pagani.
Il 29 maggio 1863 è ordinato sacerdote dall’Arcivescovo di Salerno mons. Antonio Salomone. La profezia si è avverata. Don Alfonso si distingue fra il clero della Collegiata di San Giovanni Battista di Angri per lo zelo e l’assiduità nel servizio liturgico.
Il confessionale diventa il luogo preferito del suo ministero. A margine di un testo di teologia morale appunta le qualità necessarie per confessare: «Carità di padre, carità che non rifiuta mai nessuno, carità che accoglie ed incoraggia». La sua predicazione è semplice e incisiva: «Dio ci concede tutta una vita a nostro uso, noi non daremo a Lui generosamente mezz’ora per cantarne e celebrarne indegnamente le lodi?».
Anno 1865. Don Alfonso ha 26 anni e da due è sacerdote. Ad Angri vi sono solo scuole private, una grande povertà e tanti bambini affidati alla strada. Il giovane sacerdote, nella casa paterna, impianta una vera e propria scuola per fanciulli poveri a cui aggiunge un doposcuola e un oratorio. Compra libri, scarpe, calzoni, ha le tasche sempre piene di caramelle e confetti. Ma i ragazzi fanno troppo chiasso per i vicini e i superiori invitano il sacerdote a chiudere la scuola. Don Alfonso obbedisce.
Quest’opera è il germe di un desiderio più grande che egli custodisce nel cuore. Quando era ancora in Seminario, infatti, una notte il giovane Alfonso aveva sognato Gesù che gli chiese di fondare un Istituto di Suore che avrebbe dovuto chiamare del Nazareno e un orfanotrofio maschile e femminile.
«Il suolo è già pronto, non hai che da fabbricare», gli disse il Signore. Passano gli anni e in tanti eventi don Alfonso crede di scorgere i segni per l’inizio della sua opera. Ma l’ora della Provvidenza scocca solo nel 1877 quando incontra Maddalena Caputo.
Sono passati 14 anni dall’ordinazione sacerdotale. Maddalena era nata il 19 agosto del 1848 e all’età di 29 anni non era ancora sposata. Era bella ed intelligente e aveva ricevuto molte proposte di matrimonio che aveva sempre rifiutato. Desiderava farsi suora senza allontanarsi dal paese in cui era nata, ma ad Angri non c’erano istituti religiosi femminili. Aveva un temperamento audace che non conosceva tentennamenti.
Un giorno d’estate del 1878, incontrando il sacerdote per strada gli dice: «Padre, se temporeggiate ancora, tutti i nostri progetti andranno al vento». Quel giorno don Alfonso trova il suo braccio destro. Ottenuto il consenso del vescovo – che per provare la fede del sacerdote lo fa ritornare per ben tre volte prima di dirgli di sì – l’ora è compiuta. Don Alfonso ha 40 anni. Il sacerdote cerca una casa mentre Maddalena prepara corredo e telai. La sera del 24 settembre del 1878 la piccola casa Scarcella, nel rione Ardinghi, alle spalle della Chiesa della SS. Annunziata, accoglie Generosa Cuccurullo e Colomba Marra, la mattina del 25 settembre si aggiungono anche Maddalena Caputo e Maria Gallo.
Quel giorno, nella Cappella improvvisata nella migliore delle quattro stanze, don Alfonso celebra Messa. Terminate le preghiere, il fondatore esce e le quattro giovinette, con l’animo pieno di gioia, si dedicano al lavoro di tessitura e ricamo. All’ora di pranzo non arriva nulla, verso il tramonto il fondatore manda loro un po’ di pane e formaggio. Lavoro, preghiera e mortificazione, ecco la prima giornata dell’Opera della provvidenza.
Per ogni bimba una madre. Il 4 ottobre 1878, appena 8 giorni dopo la fondazione, una quinta giovane, Teresa Ferrara, entra come aspirante. Il giorno seguente don Alfonso accompagna all’istituto la prima orfana, una bambina di 6 anni che gli era stata affidata in Chiesa. Il 27 ottobre è accettata la sesta postulante, il primo novembre don Alfonso si presenta con due bimbe. Nel primo anniversario della fondazione, l’istituto conta 8 postulanti e 8 orfanelle. Per ogni bimba una madre. Sorelle dei poveri, le giovani trovano anche mendicanti a cui ogni giorno distribuiscono una minestra calda e una parola buona. Chi fornisce i mezzi per tante bocche? «Lasciamo fare al Signore che è il padrone dell’Opera di cui io sono l’operaio» risponde don Alfonso. Il 16 luglio del 1880 mons. Ammirante, vescovo della Diocesi di Nocera dei Pagani, giunge all’istituto per dare conferma e inizio ufficiale all’istituto.
Sei postulanti ricevono dalle sue mani l’abito religioso. La prima è Maddalena Caputo che prende il nome di suor Crocifissa e diventa la prima superiora generale dell’istituto. Il vescovo assegna il nome all’istituto: Suore Battistine del Nazareno. Battistine in onore di san Giovanni Battista, protettore di Angri; del Nazareno perché seguaci di Cristo. Il titolo, dopo la prima visita apostolica del 1910 fu cambiato in Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista.
Il vescovo dà anche un nome all’opera, la chiama Piccola Casa della Provvidenza ed invita le suore a moltiplicarsi e a farsi sante.
Lo sviluppo dell’istituto. Da quel giorno l’istituto fiorisce e si estende in varie regioni d’Italia, arriva a Roma e in molte terre del mondo. Nel 1885 è aperta una casa a Napoli, poi una a Torre del Greco, l’anno successivo sorge la casa di Pontecagnano, nel 1887 è inaugurata quella di Montecorvino Rovella, poi una a Pianura di Pozzuoli. Affinché l’opera a favore della bambine fosse completa, don Alfonso decide di far studiare le suore. Una scelta straordinaria per quel periodo storico. L’8 settembre 1887 nasce una casa a Benevento: sei postulanti conseguono l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari. Dieci anni dopo la sua fondazione l’Istituto delle Suore di
San Giovanni Battista conta 50 suore e più di cento postulanti. Il 2 agosto del 1888, il vescovo diocesano mons. Luigi Del Forno firma il decreto di approvazione delle Regole dell’Istituto.
L’Orfanotrofio maschile e gli artigianelli. Fondata la Congregazione, il proposito di fare del bene ai fanciulli e alla gioventù maschile riaffiora prepotente nel cuore di don Alfonso. Ha cinquant’anni e la vista dei tanti ragazzi abbandonati ai pericoli della strada o dediti al vizio è una spina che gli penetra nell’anima. Il 29 settembre 1889 realizza il sogno di una casa per orfani. Ha con sé tre bambini e, ottenuto il permesso del Vescovo, li colloca in una casa a pigione. Nasce così l’Orfanotrofio maschile. Alcune suore vengono trasferite nella casa per l’assistenza ai piccoli. Il numero dei bambini aumenta e don Alfonso è costretto a trasferire l’orfanotrofio in un’ala della Piccola Casa della Provvidenza.
Intanto il sacerdote mette su laboratori di calzoleria, falegnameria e tipografia, per insegnare un mestiere ai piccoli.L’orfanotrofio diventa così una scuola per Artigianelli.I laboratori sono frequentati da artigiani e giovani apprendisti: uomini maturi che bisogna rieducare alla pratica cristiana. Sono istituite le scuole serali per gli analfabeti e la domenica i laboratori diventano circoli e oratori festivi. Commoventi sono le Prime Comunioni di giovani ventenni, pazientemente preparati da don Alfonso.
La buona stampa. Sul finire del XIX il sacerdote consacra la tipografia della Scuola degli Artigianelli al servizio della buona stampa. Centomila copie della Dottrina Cristiana e delle Massime eterne sono distribuite gratuitamente. A maggio stampa il Mese Mariano del Muzzarelli e promuove la pubblicazione di una rivista mensile di cultura cattolica per la diffusione della buona stampa tra i giovani studenti.Inizia anche a pubblicare un bollettino trimestrale dal titolo Il battistino del Nazareno, con lo scopo di diffondere le Opere dell’istituto e attrarre benefattori. Spera che il foglietto possa sollevare le suore dal gravoso compito della questua. Ma la scuola assorbe molte offerte e le suore che non hanno la sua stessa fiducia nella Provvidenza lo inducono, non senza dolore, a chiuderla.
Roma. Il primo febbraio del 1895 don Alfonso, durante la Messa, ha un’intuizione, convoca subito la superiora e fapartire due suore per Roma a cui, in poco tempo, se ne aggiungono altre tre. «Figlie mie – dice loro – chissà cosa vorrà il Signore da voi». All’inizio prendono in affitto una stanza ammobiliata, successivamente si trasferiscono in via Cavour dove mettono su una scuola di lavoro per giovinette esterne.
Quando gli spazi diventano insufficienti, vanno ad abitare in via Alfieri e aprono anche un orfanotrofio per fanciulle povere. Poi vanno ad abitare in via Germanico presso la parrocchia Santa Maria del Rosario. Qui esercitano per 10 anni il loro apostolato finché la Provvidenza non rende possibile l’acquisto di una casa spaziosa in viale Giulio Cesare. È il mese di settembre del 1909 ed è presente anche il fondatore ormai settantenne. Il 15 agosto del 1919 diventa Casa generalizia fino al 1940, data in cui la sede generalizia viene trasferita in una casa in via del Casale di San Pio V. È solo l’inizio dello sviluppo dell’istituto a Roma che arriverà ad avere in questa città 9 case.
Ed è qui che don Alfonso sarà chiamato a vivere la prova più dolorosa della sua esistenza.
Il 19 dicembre 1900, giunto improvvisamente a Roma, bussa più volte alla porta delle suore in via Germanico. «Sono don Alfonso, il vostro fondatore», risponde alla suora portinaia che dallo spioncino della grata domanda chi è.
«Non vi conosco, non potete entrare», replica la religiosa. Il sacerdote prega e scongiura che almeno sia chiamata la superiora, ma non ottiene nessuna risposta: la suora è andata via e l’ha lasciato dietro al cancello. Quando va ad informare il cardinale Respigni, il vicario di Roma, si sente dire: «Avete fondato? Ora ritiratevi che le suore possono andare avanti senza di voi». Con la morte nel cuore e il capo chino, va via. Nella Basilica di San Pietro, dinanzi alla statua di sant’Alfonso tra le lacrime ripete: «Se saprò soffrire come te, sarò santo anche io».
La tempesta dura due anni, don Alfonso ritornato ad Angri vive segregato nella sua stanzetta. Estromesso dal governo dell’istituto non cessa di occuparsi delle orfane, delle postulanti e delle suore che spontaneamente si rivolgono a lui per un consiglio. Con eroica carità, dimentica ogni offesa, preoccupandosi solo della formazione delle suore con prudenti esortazioni durante le celebrazioni. Il movimento separatista della casa di Roma raggiunge aspetti allarmanti, è rotto ogni rapporto con la Casa madre. Fino a quando suor Crocifissa parte per Roma, trova un’irregolarità nei registri di amministrazione e depone la superiora.
La morte. Il 5 febbraio del 1910 don Alfonso si sente male durante la notte. Ha intensi dolori in tutto il corpo che è come paralizzato, ma lo spirito è sereno. Alle suore accorse al suo capezzale raccomanda di essere umili e di confidare nella Divina Provvidenza. Preso il crocifisso tra le mani, lo guarda con tenerezza e dice: «Ho settantun anni, Signore vi ringrazio di avermi concesso sì lunga vita…Servi inutiles sumus». E declinando serenamente il capo verso destra, spira dolcemente. Sono le otto di domenica 6 febbraio 1910. Senza aspettare il suono delle campane, il popolo di Angri si riversa nella Piccola Casa della Provvidenza.