Il problema del linguaggio da tempo ormai sembra essere al centro di tanti dibattiti, sociali, politici e anche ecclesiali.
Il linguaggio, l’uso delle varie lingue e dei diversi registri comunicativi è non solo strumento o rivestimento esteriore, ma è sostanza del nostro relazionarci. Anche a livello pastorale, il linguaggio sta intercettando i nostri percorsi e pone non poche questioni, specialmente con il linguaggio e i linguaggi dei giovani, e il linguaggio oltre la parola.
Non poche volte, parliamo senza comunicare e senza raggiungere il cuore dell’altro, esercitandoci in lunghi ed eleganti monologhi.
Che c’entra il linguaggio con il nostro tema della Domenica?
C’entra e non poco; mentre i cristiani parlano di Domenica, il mondo utilizza il termine fine settimana o, con grande attenzione alla lingua di Dante, di week end.
Utilizzando parole diverse, viene alla luce il modo diverso di pensare alla vita e al mondo, si percepisce l’idea che abbiamo della persona, della storia e delle cose.
Se utilizzo il termine Domenica, vuol dire che la mia vita si organizza intorno al giorno del Signore, con tutto ciò che ne segue: preghiera, chiesa, volontariato, servizio ai poveri, sano divertimento con attenzione all’arte.
Se dico fine settimana o week end vuol dire che penso a giorni di rilassamento, senza lavoro, ma anche senza vera festa, cioè senza nessun riferimento al Dominus, il Signore, e alla famiglia.
Stiamo attenti quando utilizziamo le parole che non sempre sono sinonimi e facilmente interscambiabili. Pronunciando una parola io dico chi sono, come penso, a chi penso, e se sono cristiano o di altra estrazione. Una parola può racchiudere il senso della mia vita.
Se siamo i testimoni della Domenica, riprendiamo il vocabolario cristiano, senza l’ipocrisia di essere politicamente corretti, ma semplicemente cristiani obbedienti.