Dall’inizio di gennaio 2022 tutti i genitori possono richiedere l’assegno unico universale per ciascuno dei propri figli minorenni e oltre (fino a 21 anni se vivono a carico per motivi di studio o di disoccupazione).
L’iniziativa che ha avuto un percorso lungo e travagliato slega il contributo in precedenza previsto dal sistema di welfare alla categoria lavorativa e quindi amplia la platea dei cittadini che ne avranno benefici, allo stesso tempo rimane vincolata al reddito, e quindi ancora non riesce a valorizzare il concetto che i bambini, ogni bambino è un “bene comune” per il nostro paese.
I nuclei familiari inizieranno a vedere i risultati della misura a marzo.
È un passo importante, ma solo se inquadrato in uno scenario più ampio potrà portare frutti significativi per la nostra società. Sarebbe, infatti, ingenuo immaginare che l’assegno unico e universale possa avere l’effetto di porre un argine al declino demografico nel quale ormai siamo immersi.
Come osserva il demografo Alessandro Rosina dall’inizio del XXI secolo il saldo naturale della popolazione italiana (il rapporto tra numero di nascite e numero di decessi) è negativo e le previsioni – che già nel 2011 prevedevano una diminuzione della popolazione per i prossimi decenni, sono state riviste al ribasso più volte, certificando un peggioramento ancora più grave.
La struttura demografica ormai è indebolita: le fasce più giovani della popolazione – quelle che in prospettiva sono più feconde e sono più produttive – sono sempre più esigue, mentre la popolazione anziana aumenta in costantemente. Di conseguenza la popolazione inattiva sarà sempre più ampia fino a mettere in crisi il sistema. Nello scenario peggiore, disegnato dal demografo, nel 2050 ci saranno circa 9 milioni e 400mila persone in meno nella popolazione attiva. Una diminuzione che condanna il futuro dello sviluppo produttivo e incompatibile con la sostenibilità dei costi di un welfare pubblico.
Il declino nel medio periodo è ormai irreversibile avverte Rosina, durante la 14° Conferenza nazionale di statistica organizzata dall’Istat, però è possibile arginare la denatalità per moderarne l’impatto e invertire la rotta nel futuro.
Per rendere possibile uno scenario diverso (un declino della popolazione attiva di 3 milioni) bisognerebbe integrare l’assegno con altre politiche che guardano alla conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa, che introducono un congedo di paternità vicino a quello di maternità per favorire un equilibrio tra i generi, che rendano l’accesso agli asili nido un effettivo diritto per i bambini.
Per arginare la denatalità le opportunità esistono, bisognerà capire se ci sarà la volontà di metterle in pratica.
Andrea Casavecchia
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