Sollecitate dal magistero profetico di papa Francesco, le Chiese che sono in Italia si sono avviate in un percorso di cammino sinodale, cercando di attivare tutti gli strumenti pastorali per ascoltare il grido delle persone, della terra e della storia. Anche noi, pigramente pandemici, cerchiamo di riprendere, ricominciare, ripartire, e ci accorgiamo che lo stile sinodale, se accolto, potrebbe aiutare le nostre comunità, a cominciare da ognuno di noi, ad uscire da quella zona d’ombra dove, per diversi motivi, stiamo stazionando.
Come sempre la Parola, che è luce sul nostro cammino, può illuminare gli angoli bui e gli anfratti della nostra vita e della nostra Chiesa. Lasciamoci educare, all’inizio, da un denso testo del profeta Osea, che vogliamo leggere e gustare con calma, in modo che possa accompagnare i nostri primi passi sinodali.
Leggiamo con attenzione Osea 11,1-7, ponendo qualche domanda alla nostra vita personale ed ecclesiale.
Quando Israele era fanciullo,
io l’ho amato
e dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi.
A Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d’amore,
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia,
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.
Non ritornerà al paese d’Egitto,
ma Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.
La spada farà strage nelle loro città,
spaccherà la spranga di difesa,
l’annienterà al di là dei loro progetti.
Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto,
nessuno sa sollevare lo sguardo (Os 11,1-7).
Il profeta aiuta il popolo a riprendere la strada rincordando che solo il Signore è il vero soggetto di ogni cammino. All’inizio c’è sempre un amore che, da ogni Egitto, invita ad uscire per diventare figli assaporando il gusto della libertà.
La chiamata di Dio, però, non sempre è ascoltata e il popolo invece di procedere si allontana, da Dio si riporta all’io, dal Signore agli idoli, i signori. È un cammino all’indietro; ma Dio non si arrende e insegna a camminare prendendosi cura del popolo. A camminare si impara camminando, ed anche cadendo. Dio, come una mamma ed un papà, ci insegna a camminare, attento ad ogni piccolo progresso, ci segue con legami di bontà, vincoli d’amore, come si solleva un bimbo alla sua guancia, chinandosi su di noi e dandoci da mangiare.
Questa è la pedagogia di Dio, da accogliere con umiltà e fiducia se vogliamo veramente imparare a camminare sulle sue vie, e a non seguire orgogliosamente le strade del nostro egoismo. Da questo atteggiamento, di ascolto e affidamento, può iniziare il nostro cammino sinodale. Sappiamo che siamo un popolo duro a convertirsi, ma siamo invitati a guardare in alto, a sollevare lo sguardo per trovare nel cielo le tracce del nostro cammino.
Solo guardando il cielo, cammineremo più spediti sulla nostra terra, e nei vicoli della nostra Chiesa, apprezzandone ogni bellezza con l’umiltà di ringraziare il Signore. Stile sinodale è questa tenerezza di Dio che ci insegna a camminare, avendo pazienza con ognuno di noi, e ci lascia anche cadere, ma sempre viene a soccorrerci e a rimetterci sul giusto cammino.