«Dare forza e bellezza ai volti della nostra comunità ecclesiale», così il Vescovo in apertura dell’omelia della Messa crismale. Mons. Giuseppe Giudice ha presieduto la celebrazione nella Cattedrale di San Prisco, un «unicum, e fa quasi da discrimine, come un ponte che conduce dal deserto quaresimale alla terra promessa della Pasqua».
«Stamattina siamo qui per celebrare la Pasqua che ha inizio con il Triduo, che è la Pasqua celebrata in tre giorni, e non tre giorni in preparazione alla Pasqua. Nel Cenacolo, alla Croce, al Sepolcro vuoto noi celebriamo la Pasqua annuale del Signore, fondamento di tutto il nostro credere e sperare per poterci rivestire della carità», ha proseguito.
Un riferimento, poi, all’impegno per i poveri: «Come sono belle le pagine scritte insieme con l’inchiostro della carità, alle quali anche la nostra Chiesa diocesana sta contribuendo; esse odorano di Pasqua e sono un linguaggio comprensibile da tutti perché arriva direttamente al cuore della gente».
Il Vescovo si è rivolto al presbiterio: «Noi sentiamo l’affetto del nostro popolo e ci sentiamo incoraggiati e sostenuti dalla loro preghiera e presenza. Ed anche qualche critica, che può solleticare il nostro orecchio, non ci scoraggia perché l’accogliamo come la raccomandazione della mamma, o di chi ci ama, a far meglio e di più per essere santi. E nel clima spirituale del Giovedì Santo, riandando alle promesse del nostro giorno natale, vogliamo anche umilmente chiedere perdono per qualche inadempienza o ritardo nel ministero».
Il pensiero è andato «con gratitudine alle persone che ci hanno accompagnato, alle famiglie, ai superiori, parroci, suore, anime sante, quasi per risentire lo stupore di quei giorni, la passione, la gioia della scoperta, il timore di essere inadeguati; e poi i primi passi sacerdotali, le prime Messe, i primi incontri, gli impegni, le prime delusioni; e tutto riconsegnare con gratitudine nelle mani del Signore».
La Messa crismale 2022 – foto S. Alfano/Insieme La Messa crismale 2022 – foto S. Alfano/Insieme
«Attraverso le mani della Chiesa ci siamo consegnati completamente al Signore, espropriandoci, pur sapendo di essere polvere e cenere (cfr Gn 18,27). E abbiamo iniziato così, nell’entusiasmo e inseriti in una famiglia presbiterale, il nostro cammino andando, profumati di crisma e testimoni del Risorto, dove l’obbedienza ci ha condotti», ha proseguito mons. Giudice.
Il Vescovo ha fatto un passaggio sulla «stanchezza, la delusione o l’incomprensione, qualche schiaffo della vita o un suggerimento sbagliato di chi ci sembrava amico», se queste cose «ci hanno fatto a volte ritirare le nostre mani da quelle affidabili della Chiesa, ecco che puntuale ritorna il Giovedì Santo per ripetere, nel rinnovo delle promesse, quel gesto in modo spirituale davanti a tutto il presbiterio e al popolo che ci è affidato, e contenti e rinati, riprendere il cammino con rinnovato entusiasmo».
L’invito al presbiterio: «Chiediamo al Maestro, che conosce le profondità del nostro cuore, di uscire da questa celebrazione rinati dentro e profumati di crisma, resi belli e forti nel ministero. Così ci vuole la gente; così la Chiesa ci forma; così il Maestro ci sogna: compagni di viaggio, maestri di Spirito, medici dell’anima, testimoni credibili dell’Invisibile».
Il Vescovo ha esortato i sacerdoti a riprendere «l’urgente ministero di intercessori; abitiamo l’ambone e l’altare; perdiamo tempo nel confessionale, stazioniamo presso il letto degli ammalati; dialoghiamo con le nuove generazioni; fermiamoci con gli anziani e portiamo parole di Pasqua nelle case in lutto; parole di speranza dove c’è una culla; e non manchi il tempo per meditare, studiare e riposare».
«Impariamo nuovamente a contrattare con Dio nella preghiera quando sappiamo che la Città è in pericolo, o il male si annida da qualche parte e, oltre la preghiera, non abbiamo mezzi per scacciarlo e nient’altro da offrire alla nostra gente (cfr Mc 9,29)».
Un percorso che si compie insieme ai laici: «Siamo sicuri che il nostro popolo sosterrà le nostre mani alzate, come fecero Aronne e Cur nel sostenere Mosè con le mani alzate sulla cima del colle nella battaglia contro Amalek. Nella battaglia della vita, mentre preghiamo sul monte eucaristico, sentiremo il sostegno della nostra gente per vincere insieme (cfr Es 17,8-16)».
«La pastorale oggi – ha continuato – richiede di mettere nuovamente insieme evangelizzazione e sacramento per ricordare ad ogni creatura che, pur se fragile, è un prodigio dinanzi al Creatore. Così, l’opera della Chiesa si inserisce nella promozione dell’umanità secondo la sintassi del Vangelo».
La corale San Biagio Vescovo e Martire di San Marzano sul Sarno diretta dal maestro Pietro Russo – foto S. Alfano/Insieme
Mons. Giudice ha aggiunto: «Carissimi, questo è il proprium del nostro ministero da riprendere con urgenza se non vogliamo smarrire la nostra identità presbiterale, che è conformazione a Cristo Pastore, per il quale un giorno abbiamo lasciato tutto e lo abbiamo seguito (cfr Patris Corde, 7). Se vogliamo progredire nella vita spirituale e pastorale, dobbiamo tornare alla fonte, alla sorgente, che è il Cenacolo; perché, paradossalmente, nella Chiesa si torna indietro per poter andare avanti. Vivendo così, insieme nella Chiesa diocesana, nostra Madre, siamo abilitati a partire dalla predella dell’altare e, lasciando ad altri incombenze non nostre, che ci ingolfano e appesantiscono, a raggiungere gli altari delle solitudini, gli amboni del mutismo, i crocicchi dell’indifferenza, dove il mal capitato attende l’olio della Pasqua e il vino della gioia».
Il Vescovo ha chiuso l’omelia dicendo: «Condividendo l’olio del Giovedì Santo in piccoli vasi, stimando e facendo stimare nuovamente il dono sacerdotale, alimenteremo tante altre lampade vocazionali per illuminare con la luce pasquale tutta la terra dell’Agro, in un dinamismo sempre nuovo tra Chiesa in entrata eucaristica e Chiesa in uscita missionaria».