Nel 2022 i risultati del sistema di istruzione italiano rimangono sostanzialmente simili a quelli degli anni precedenti. Anche in questo periodo di forte stress non ci sono state variazioni, certo neanche in positivo.
Sono stati pubblicati i dati delle prove Invalsi che descrivono lo stato dell’arte della qualità dell’insegnamento.
Dalla rilevazione escono in modo positivo le scuole elementari, dove la stragrande maggioranza dei bambini raggiunge livelli almeno adeguati in italiano (80%) in matematica (66%) in inglese (94% lettura e 84% ascolto). Nella scuola secondaria inferiore (le scuole medie) si riscontrano invece i problemi maggiori: i ragazzi che superano il livello adeguato diminuiscono in italiano (61%) in matematica (56%), in inglese (78% lettura e 62% ascolto).
Diminuiscono ancora le porzioni tra gli studenti che hanno affrontato la maturità in tutte le prove poco più della metà raggiunge un livello adeguato.
Se seguissimo il percorso tracciato dai dati e la descrizione che mostra l’Invalsi vedremmo che dalla scuola media inferiore i risultati iniziano a differenziarsi per zone territoriali e per provenienza sociale e familiare, mentre quando si arriva alle superiori si aggiunge una differenziazione che dipende dalle scuole scelte.
Su queste basi si dovrebbe iniziare a osservare la scuola. Invece la tentazione è di scambiare la valutazione del sistema con la valutazione degli studenti.
Un errore grave perché non è il compito della rilevazione. Gli studenti li valutano gli esami bisognerebbe considerare quelli. Lo sanno i ragazzi che hanno affrontato le prove per conseguire la licenza media come lo sanno i giovani che hanno appena terminato gli esami di maturità. Il voto che ricevono in quell’occasione valuterà bene o male il loro apprendimento.
Le valutazioni Invalsi hanno finalità diversa e sono indicative perché sono rivolte a tutta la popolazione studentesca italiana che ha frequentato determinate classi scolastiche. Questo rende statisticamente attendibili risultati per valutare il compito della scuola italiana.
Ci sono diversi fattori che non permettono di dire molto sugli studenti.
C’è in primo luogo una questione ambientale: l’atmosfera che si crea durante la rilevazione, gli studenti sanno che i risultati non incidono sul giudizio del loro percorso formativo e quindi non porranno la stessa concentrazione nel rispondere ai test. In secondo luogo il questionario a domande chiuse non riesce a rilevare competenze, perché – come hanno rilevato già qualche tempo fa il pedagogista Cristiano Corsini e lo scrittore Christian Raimo su Il Domani – “la competenza in campo educativo ha dimensioni (sociali, emotive, creative) che imporrebbero modalità totalmente diverse di apprezzamento rispetto a un test”.
Andrea Casavecchia
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