Villa Chiarugi è da oltre un secolo al servizio della salute mentale. Nacque come piccolo sanatorio nel 1909, in via Atzori a Nocera Inferiore, per volontà degli psichiatri Domenico Ventra e Raffaele Canger. Negli archivi sono conservate ancora le cartelle cliniche dell’epoca.
Ventra, che per 32 anni e fino alla sua morte avvenuta nel 1929 è stato anche direttore del manicomio di Nocera Inferiore, decise di acquistare il caseggiato originario per destinarlo alla cura e alla riabilitazione dei pazienti psichiatrici che riuscivano ad uscire dal manicomio. Una concezione sconosciuta all’epoca, ma che tuttavia gli studiosi delle malattie mentali cominciavano ad approfondire.
L’intitolazione a Vincenzo Chiarugi, primo medico psichiatra italiano, lasciava presagire il costante impegno per una assistenza e una cura nel segno della ricerca, dell’innovazione e dell’aggiornamento.
In 113 anni di vita sono cambiate tante cose, nella medicina come nella gestione e organizzazione della clinica privata accreditata dal Servizio sanitario nazionale. Si è passati dai 12 posti letto dei primi del Novecento ai 120 attuali.
Sono stati implementati ambulatori e laboratori dedicati, c’è anche un servizio di parrucchiere ed estetista per i ricoverati. Da due anni sono stati creati anche 40 posti letto potenziali per la lungodegenza medica.
Quest’ultimo innesto ha ampliato le possibilità di assistenza offerte dalla struttura sanitaria che vede al vertice Marco Piemonte, in qualità di amministratore unico, Luciana Ventra, erede della famiglia fondatrice e attuale direttrice di comunità, e Francesco Fiore, nelle funzioni di direttore sanitario.
«Dopo oltre cento anni di storia – afferma l’amministratore –, Villa Chiarugi si dedica anche ad altro e lo fa attraverso un processo di riconversione che segna un punto di svolta anche nella ridistribuzione dei reparti e degli spazi».
Nasce per esempio un laboratorio di riabilitazione, con l’assunzione di terapisti ed educatori che si occupano dell’assistenza dei ricoverati psichiatrici.
Spiega Luciana Ventra: «Prima la struttura era individuata come un ricovero di matti, oggi invece miriamo alla recovery del paziente. Lo prendiamo in carico a 360 gradi, assistendolo dal punto di vista medico, psicologico, farmacologico, riabilitativo e sociale. Oggi i nostri pazienti hanno un plenning ben definito».
La conseguenza di una evoluzione medico-sanitaria e culturale, come evidenzia il direttore Fiore: «È la cultura che si evolve e mira all’inclusione sociale. Si tratta di passaggi intermedi che puntano a re-includere il paziente, alla sua capacitazione affinché possa uscire. Questa ospitalità può durare fino a 36 mesi in modo che ci sia continuità assistenziale rivolta al fine della inclusione sociale e non un fattore di porte girevoli».
Un ruolo importante lo svolge anche la collettività: «Non dipende solo dalle abilità conquistate dai pazienti – aggiunge il dottor Francesco Fiore –, ma anche dal grado di tolleranza della società».
Sul fronte dello sviluppo e degli investimenti, Piemonte traccia un bilancio più che positivo: «Abbiamo fatto nostro un nuovo motto: innovare nella continuità. Significa che dovendo affrontare alcuni cambiamenti, ci siamo dati una filosofia di efficienza volta a modernizzare tutto ciò che avevamo all’interno. Per cui oggi la struttura è tutta cablata, ha un sistema gestionale in linea con le norme per il fascicolo sanitario elettronico e abbiamo laboratori di analisi cliniche, radiologia, ecografia, elettroencefalografia oltre a palestre e strutture per la riabilitazione. Negli anni abbiamo fatto tante assunzioni di giovani a cui si accompagna un’attività di formazione continua per mantenere tutti aggiornati e motivati sulle attività da svolgere».
In oltre un secolo non sono mancati scossoni, ultimo la gestione della pandemia da Covid-19, tuttavia il rinnovamento che è stato avviato appare inarrestabile.
«Gli anni di pandemia sono stati difficilissimi – racconta Luciana Ventra –. Abbiamo avuto tanti malati di Covid-19. Nel novembre/dicembre 2020 ci siamo blindati. Gli operatori vivevano chiusi nei propri reparti, stando vicino ai malati. Però non abbiamo avuto nemmeno un morto Covid-19, nonostante avessimo il 50% di malati psichiatrici infetti. Siamo riusciti a gestire e a tenere la situazione sotto controllo, destinando anche 7 posti letto per l’accoglienza dei pazienti esterni quando gli ospedali erano saturi».
Ora si guarda al futuro. Per l’amministratore Piemonte c’è la «saturazione delle potenzialità» di Villa Chiarugi. In particolare del reparto di lungodegenza, che ha richiesto non pochi investimenti: «Ci sono però dei limiti come i tetti di spesa, insufficienti a soddisfare i bisogni immaginati. Noi non abbiamo un tetto pari alle nostre potenzialità di 40 posti, ma al massimo per 20-24 posti letti. Tuttavia, se non lavoriamo a pieno regime c’è una difficoltà a coprire tutti i costi».
Su questo aspetto puntualizza la dottoressa Ventra: «È necessaria anche una migliore appropriatezza dei ricoveri, che oggi non esiste. Purtroppo non c’è la cultura della lungodegenza. Noi veramente possiamo applicare una riabilitazione estensiva». Obiettivi che per essere raggiunti dovranno passare per «una maggiore coesione con il territorio», è l’auspicio del direttore Fiore.