Impegnarsi nell’educazione è essenziale, urgente e necessario. È la sfida cruciale da cui dipende il futuro dei nostri giovani, il nostro, quello del nostro territorio e del pianeta. Lo scoutismo è una grande forza educativa, una forza straordinaria, come dimostra il solo fatto che ha tenuto per più di cent’anni e tiene tuttora nonostante il cambiamento vertiginoso che si è realizzato in questo secolo. E il fatto che si sia diffuso in tutto il mondo e che sia applicato e applicabile a un numero grandissimo di culture ne è la prova.
Fra capi scout ci diciamo che per trasmettere la fede bisogna innanzitutto viverla. I giovani hanno bisogno di vedere in noi testimoni autentici: ricordiamoci che siamo tutti strettamente legati.
Gli educatori sono chiamati a stare tra i ragazzi: per questo, come i pastori, devono avere l’odore dei ragazzi, il profumo delle loro giovani vite. La parola chiave è accompagnare, che significa avere cura, stare accanto senza sostituirsi. Non occorre dirigere la loro vita quanto aiutarli a scoprire la presenza del Signore nella loro esistenza. E farlo con passione, attenzione sollecita, mettendosi in ascolto. Ecco, l’educatore deve saper ascoltare. Ascoltare Dio per rispondergli e insegnare ai ragazzi stessi ad ascoltare. Ascoltare significa avvertire nella propria esistenza una trama più ampia, una storia di cui siamo parte assieme agli altri, che viene da lontano e dentro cui possiamo scorgere la presenza del Signore.
Ci sentiamo chiamati ad annunciare che l’Amore non è una proposta, ma è un mandato; non è una strada possibile, ma è l’unica Via. Sulla strada, nel servizio o nella condivisione: annunciare è riconoscere la presenza di Dio nelle nostre esistenze. Nello scoutismo i ragazzi camminano con noi, la comunità cresce nel confronto e nel servizio, nella gioia come nella fatica. È esperienza piena di condivisione, non ti puoi nascondere, non puoi fingere, non puoi dare quello che non hai.
La vita cristiana non è un’idea, ma un’esperienza, un incontro. Ecco, buona parte di quell’annuncio a cui siamo chiamati consiste nell’accompagnare i ragazzi ad «andare a vedere», muovendoci noi stessi e aiutandoli a costruire esperienze di senso, a fare incontri significativi, a scoprire l’amore nascosto nelle difficoltà della vita. Andare a vedere insieme dove abita il Maestro. La pandemia ci ha fatto avvertire fragilità e impotenza. La fragilità ci aiuta a capire che senza le relazioni non siamo nulla. E la fragilità ha a che fare con Dio. Non un “Dio tappabuchi” a cui ci si aggrappa nelle difficoltà. Ma un Dio che non ci lascia mai soli.
Quando papa Francesco parla agli educatori dice di insegnare ai ragazzi a esprimersi con “le tre lingue che una persona matura deve sapere parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani”. E noi ci impegniamo a farlo in maniera armoniosa.
Loredana Cuomo