Emergenza disagio: il bonus psicologo

Oltre il 60% delle richieste giunge dai giovani di età compresa fra i 19 e i 35 anni. Quali sono le cause di questo diffuso malessere giovanile?
Foto di Ulrike Mai da Pixabay

Le richieste per il “bonus psicologo” superano di gran lunga la disponibilità dei fondi nel nostro Paese, pare infatti che allo sportello telematico Inps siano pervenute oltre 300.000 domande per il sussidio. Un numero che oggi, a pochi giorni dalla scadenza dei termini di presentazione delle istanze, non è nemmeno più attuale, quindi inferiore alle necessità realmente espresse dai cittadini.

Oltre il 60% delle richieste giunge dai giovani di età compresa fra i 19 e i 35 anni.

Allarmante anche il numero di domande degli under 18, circa 50 mila. La situazione degli adolescenti, non solo in Italia – se ne è parlato anche nei giorni scorsi a Roma in occasione del Global Mental Health Summit (13-14 ottobre) – è in allarmante “disordine” dal punto di vista della salute psichica.

La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Sinpia) informa che, nel nostro Paese, un minore su quattro soffre di disturbi d’ansia, dei ritmi del sonno e depressione, alcuni giovani manifestano problematiche comportamentali e sintomi di regressione. Questi ultimi, in alcuni casi, conducono al ritiro sociale o all’insorgenza di numerose fobie o nevrosi. Negli ultimi due anni gli accessi dei minori al pronto soccorso e i ricoveri in ospedale per comportamenti autolesionistici, pensieri, azioni e tentativi suicidari, hanno subito una preoccupante impennata. I ricoveri riguardano disturbi alimentari, come l’anoressia e la bulimia, ma anche vere e proprie patologie psichiatriche.

Ma quali sono le cause di questo diffuso malessere giovanile?

La pandemia pare una delle cause immediate più accreditate, ma in realtà l’origine del disagio è da rintracciare nella generale cattiva salute in cui versa l’intera società. I giovani, infatti, sono i più fragili emotivamente ed esprimono i sintomi di una “malattia” che è determinata dal modus vivendi di un mondo adulto in balia di forti criticità. La disgregazione dei nuclei familiari, le difficoltà economiche, il crescente disincanto nei confronti dell’orizzonte futuro (che spesso viene declinato in cinismo), la sovraesposizione al digitale, il quadro storico in cui viviamo, sono tutti fattori che minano l’equilibrio dell’esercizio dei ruoli genitoriali o la credibilità dei modelli educativi proposti.

Soprattutto questi ultimi due aspetti avrebbero bisogno di una profonda riflessione e anche di percorsi di sostegno a favore di chi si occupa in prima persona di educazione: genitori, tutori, insegnanti, operatori. Il “bonus” messo a disposizione dallo Stato è infatti un aiuto che tenta di arginare situazioni già compromesse.

Come agire in un’ottica di prevenzione?

Le scuole, da qualche anno, hanno avviato al loro interno degli sportelli di ascolto psicologico destinato a studenti e famiglie. Si tratta, però, di poche ore di consulenza, nella maggior parte dei casi. Interventi che possono certamente essere utili, ma non risolutivi.

Spesso il disagio psicologico si accompagna allo scarso rendimento scolastico, fa emergere problemi di apprendimento e di socialità. Gli insegnanti, da questo punto di vista, non sempre sono adeguatamente formati a individuare la matrice di certi comportamenti e spesso neppure riescono a instaurare con le famiglie una comunicazione efficace.

Il fronte del dialogo scuola-famiglia potrebbe offrire quindi ulteriori possibilità di “cura” e prevenzione delle difficoltà emotive e psicologiche dei minori. Si dovrebbe però sgombrare il terreno da quella contrapposizione che, a volte, si crea fra le due agenzie educative principali e cercare di far confluire l’operato di entrambe in un sistema progettuale.

L’educazione dei propri figli, invece, continua ancora a essere percepita come “fatto privato” e non condivisibile in un’ottica comunitaria. In effetti, la condivisione chiede impegno, ma in cambio offre supporto e confronto.

Progettualità è, infine, una parola chiave che mai dovrebbe essere disattesa. Alla radice del disagio c’è l’esasperato individualismo che caratterizza il nostro tessuto sociale e che conduce inevitabilmente all’alienazione. Progettare un sentiero educativo in connessione con chi concorre alla formazione dei nostri figli, vuol dire proprio uscire dal buio del proprio isolamento.


Silvia Rossetti

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