Autonomia differenziata: è in gioco il futuro del Sud

Rischiamo di diventare cittadini di serie A e di serie B? Il punto sull’autonomia differenziata nell’editoriale del direttore Salvatore D’Angelo.
Foto di Gerald Oswald da Pixabay

Il 2 febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato la legge quadro che concede alle Regioni italiane di chiedere allo Stato nuove funzioni insieme alle risorse umane, strumentali e finanziarie per svolgere adeguatamente una serie di compiti.

Si tratta di 23 materie indicate nell’articolo 116 della Costituzione. Tra l’altro, sanità, istruzione, governo del territorio, ricerca scientifica, energia, trasporti, tributi, valorizzazione culturale, ma anche casse di risparmio, sicurezza sul lavoro e ordinamento sportivo.

Cambia l’assetto del Paese con possibili, pesanti, ricadute negative sulle regioni del Sud. L’autonomia differenziata è frutto del lavoro del ministro per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli. Grazie a lui, il partito di Matteo Salvini esulta parlando di «altra promessa mantenuta». Una bella strizzatina d’occhio all’elettorato di riferimento, in particolare quello lombardo impegnato alle urne per le Regionali.

Gioisce preliminarmente il Carroccio. Più cauti gli alleati di governo, il cui elettorato non è solo concentrato in determinate aree del Paese. Si sono tutti affrettati a dire che non ci saranno cittadini di serie A e di serie B. Considerato come stanno le cose in Italia, sembra la promessa più difficile da mantenere. Tuttavia era uno dei principali temi della campagna elettorale del centro destra e milioni di elettori residenti al Sud non hanno esitato ad esprimergli la propria preferenza.

I timori maggiori sono per la tutela della salute.

Ad affermarlo è la fondazione GIMBE: così com’è, il disegno di legge «darà il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale, aumenterà le diseguaglianze regionali». Quanti viaggi della speranza in più! Poi c’è la scuola: stipendi diversi in base alla residenza. E il governo del territorio: dove si troveranno le risorse per contrastare lo sbriciolamento del Meridione a causa del dissesto idrogeologico?

La garanzia è rappresentata dai Lep (Livelli essenziali di prestazione) che dovrebbero consentire di mantenere i livelli minimi dei servizi erogati dallo Stato dove non è possibile colmarli con l’autonomia. L’ancora di salvezza del Mezzogiorno non è stata però definita e soprattutto dovrà essere finanziata. Si stimano circa 60 miliardi all’anno, almeno.

Non tutto è scritto. Il DdL dovrà essere vagliato dalla Conferenza Stato-Regioni e dal Parlamento. Sarà creata una Cabina di regia. Un percorso disseminato di inciampi, con opposizioni e sindacati pronti a dare battaglia.

Anziché piangere, noi meridionali dovremmo adoperarci per uno scatto di orgoglio. Colmare i gap e migliorare le nostre prestazioni per mostrare al Paese che non siamo ammalati di assistenzialismo. È necessario avere però la stessa base di partenza. Il governo e i politici del Sud dovranno lavorare per assicurare pari opportunità e non abbandonare una parte d’Italia. Siamo fratelli, ce lo ricorda Mameli.

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