«Il tempo vola, aspettami. Tornerò». L’anno prossimo saranno 50 anni dalla prima volta che questo brano è passato alla radio. Non è stato necessario aspettare il ritorno perché non è mai andato via. È diventato un evergreen della musica italiana, richiamato spesso in televisione e al cinema. Un successo del 1974 targato I Santo California, gruppo che ancora raccoglie consensi esibendosi nelle piazze italiane, in club e teatri all’estero.
Quei ragazzi di Nocera Inferiore ed Angri ne hanno fatto di strada. Una formazione rimasta quasi immutata: Pietro Barbella, voce solista e tastiere; Donato Farina, batteria e percussioni; Mimmo Aiello, chitarra e basso; Ninni Gibboni, chitarra elettrica. All’inizio c’erano anche Giovanni Galizia e Massimo Caso. Il primo ha deciso di intraprendere una strada diversa, il secondo è rimasto nel campo artistico occupandosi però di produzione musicale.
Il successo arrivò improvviso, grazie ad alcuni provini ascoltati da Elio Palumbo della Yep, casa discografica di Roma. Avevano inciso due successi dei Pooh. A proporglieli fu Alfredo Farina, papà di Donato, che si occupava di organizzare feste e concerti nell’Agro nocerino sarnese. Frequentava la galleria di Napoli e conosceva persone dell’ambiente.
Il patron della Yep fu colpito da quelle voci e da quella musica, li volle a Roma e gli fece incidere Tornerò.
Era il singolo di un Lp composto da dieci brani. «Fu Renzo Arbore a indicarla come canzone di lancio. Fummo travolti dall’entusiasmo e dalla notorietà. Restò in classifica 42 settimane, di cui 8 al primo posto. Non volevamo nemmeno cantarla e invece ha cambiato le nostre vite», racconta Barbella. Ne sono state incise 120 versioni in tutto il mondo. Arrivarono nella capitale come La Nuova Frontiera, ritornarono nella loro terra come I Santo California.
Una partenza col botto per quei giovani abituati a provare in un garage e ad esibirsi nelle feste di quartiere. «Ci eravamo conosciuti a scuola, passeggiando per il corso di Nocera e ci siamo trovati a Roma. Un mondo completamento diverso», dice il cantante. I complessi spopolavano e loro, come molti coetanei, si trovarono a strimpellare qualche strumento. «Eravamo autodidatti, avevamo la musica nel sangue. Era una passione che poi è diventata lavoro, ma noi non lo sapevamo. All’epoca si giocava a calcio nel cortile di casa o si prendeva uno strumento tra le mani. Queste erano le alternative. Oggi, invece, siamo ipnotizzati da cellulari e computer», continua il frontman de I Santo California.
Non c’erano i soldi per comprare gli spartiti: «I negozi specializzati non abbondavano, ma c’erano le radio libere che trasmettevano decine di dediche. Noi chiamavamo ogni volta con nomi diversi – ricorda – e chiedevamo di far ascoltare una canzone. Quando veniva suonata appuntavamo gli accordi e cercavamo di seguire la melodia. Era l’unico modo per fare repertorio».
Dagli scantinati ai grandi palcoscenici. Dopo Tornerò, nel 1977 arriva il Festival di Sanremo.
Il primo dal teatro Ariston e il primo trasmesso a colori. Lo conducevano Maria Giovanna Elmi e Mike Buongiorno, il commento radiofonico era affidato ad Umberto Eco, con ospiti del calibro di Barry White e Domenico Modugno. «Non fu facile – spiega Barbella –, il discografico ci propose di cantare Monica, ma la canzone non ci convinceva. Volevamo cambiare genere dopo la melodia e i cori del primo successo. Volevamo fare un po’ di rock. Ad un certo punto pensammo anche di ritirarci. Poi l’organizzazione ci convinse a restare». Un “sacrificio” ben pagato. Il gruppo si classificò al terzo posto in un’edizione che vide un inedito podio composto da tre complessi: al primo posto gli Homo Sapiens, al secondo i Collage, terzi I Santo California. A distanza di 46 anni c’è ancora qualche perplessità su come sono stati gestiti i voti: «Fu un Sanremo non bello nonostante il terzo posto».
Negli anni Ottanta comincia una nuova stagione con un altro discografico: «Ci proposero di cantare Mamma Maria, dicemmo di no. Fu portata al successo dai Ricchi e poveri», afferma con un pizzico di rimpianto. «Quando fai un successo come Tornerò è difficile portare un’altra canzone a quei livelli. I discografici ci abbandonarono, non investivano più su di noi».
Dell’epoca d’oro resta l’entusiasmo, i concerti in giro per il mondo, i legami con tanti colleghi: «Andammo a Parigi, incontrammo Adamo, Dalidà e tanti grandi della musica italiana e internazionale. Per noi era un sogno esibirci davanti a 30mila persone al Madison Square Garden di New York, a Los Angeles, in Germania. Fuori all’albergo ci aspettavano centinaia di giovani».
In 50 anni di carriera il rapporto con i fan è cambiato: «Incontriamo quei ragazzi, oggi adulti, che ci dicono: “Grazie, stasera ho sognato con le tue canzoni, mi hai riportato alla gioventù”. Accade anche nel quotidiano, quando incontriamo persone nuove. Una volta un direttore di banca mi disse “Il primo ballo con mia moglie l’ho fatto sulle tue canzoni”. E ti chiedono un selfie».
Il sogno sarebbe ritornare a Sanremo, semmai nel 2024 per i 50 anni di Tornerò. Ma vorrebbero anche esibirsi nella loro terra: «In Calabria, Puglia e Sicilia siamo molto richiesti, come all’estero. Qui da noi, no. Paghiamo lo scotto di essere di zona». L’Agro potrebbe regalargli un evento per il loro primo mezzo secolo di musica.
I Santo California saranno in tour da marzo a settembre. Sono già in programma alcune puntate all’estero. Stanno preparando un nuovo disco, che sarà veicolato sulle piattaforme digitali: «Senza il web non si fa nulla. Il nostro obiettivo è proseguire sulla nostra strada, continuando a seminare emozioni».
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