Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura (Eb 10,19-22).
La riscoperta del Cammino sinodale, che è la Chiesa e che la Chiesa ci chiede, è un invito pressante a camminare insieme sulla Via Crucis e sulla Via Lucis, che non sono due vie, ma è la via stessa di Cristo, sintesi del Mistero Pasquale.
Formati al pio esercizio della Via Crucis, ben radicata nel nostro popolo, ci accorgiamo che facciamo fatica pastoralmente ad accogliere la Via Lucis, anche con la reticenza che viene da qualche liturgista.
La Via Crucis con le sue quattordici stazioni termina dinanzi al sepolcro di Cristo.
E dopo? C’è la Risurrezione, la Pasqua e il credente, chiamato a contemplare le ferite di Cristo, è invitato a percorrere la via della luce, la via risorta per dare alla vita il ritmo dell’Alleluia pasquale e per ricordarci che il cammino non termina dinanzi al sepolcro.
Forse dovremmo insistere nella nostra pastorale ordinaria su questi due aspetti dell’unica via di Cristo, per non lasciare i nostri fedeli a piangere accanto al sepolcro, ma a camminare gioiosi nella luce pasquale, sapendo che Cristo è morto e risorto.
Il Cammino sinodale non è soltanto l’invito a camminare insieme, ma può essere anche l’occasione per far camminare insieme i diversi aspetti dell’unico mistero di Cristo, Croce e Luce, in modo che nella nostra vita cristiana ci sia una sintesi armonica.
+ Giuseppe Giudice, Vescovo
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