Monsignor Giuseppe Giudice ha consegnato alla Chiesa di Nocera Inferiore-Sarno la Lettera per la ripresa delle manifestazioni della pietà popolare. Un documento dal quale scaturisce una riflessione sul ruolo della pietà popolare come via di evangelizzazione attraverso il recupero di quel salutare equilibrio tra la trasmissione della fede e la custodia delle tradizioni, percorrendo il sentiero della bellezza.
Si legge nella Lettera: «Non nuove norme, quindi, né nuovi decreti, ma cuore nuovo e nuovo approccio, con la Sapienza di chi sa estrarre dal tesoro cose nuove e cose antiche […] così con il contributo di tutti, l’aggiornamento che certamente ci è richiesto, abbia il passo del Cammino sinodale, l’attenzione al territorio e alle vive e vere tradizioni ecclesiali, che se sono tali non possono essere quelle nate ed inventate ieri o stamattina».
Per fare questo è fondamentale recuperare il primato della liturgia. La celebrazione liturgica dev’essere il culmine e la fonte di ogni manifestazione di pietà cristiana, come già si evince dalla costituzione conciliare secondo cui ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado (Cf. SC 7).
Superando dunque l’equivoco che la liturgia non sia “popolare”, il rinnovamento conciliare ha promosso la partecipazione interiore ed esteriore del popolo nella celebrazione liturgica, favorendo modi e spazi di coinvolgimento diretto che, in altri tempi, erano lasciati a preghiere alternative o sostitutive all’azione liturgica.
La scelta del Direttorio, su pietà popolare e liturgia, di adottare l’anno liturgico come quadro generale entro il quale esaminare i pii esercizi e le pratiche di pietà del popolo cristiano non è arbitrario. È suggerito dalla loro origine storica e dalla collocazione cronologica che già hanno acquisito nel ritmo dell’anno liturgico.
L’eminenza della liturgia rispetto ad ogni altra possibile e legittima forma di preghiera cristiana deve trovare riscontro nella coscienza dei fedeli. Infatti, se le azioni sacramentali sono necessarie per vivere in Cristo, le forme della pietà popolare appartengono all’ambito del facoltativo. Sulla base di quanto detto, viene chiamata in causa la formazione dei sacerdoti e dei fedeli, affinché venga data preminenza alla preghiera liturgica e all’anno liturgico su ogni altra pratica di devozione. In ogni caso, questa doverosa prevalenza non può comprendersi in termini di esclusione, contrapposizione, emarginazione.
Il fatto che i pii esercizi e le devozioni siano considerati facoltativi non significa scarsa considerazione nei confronti di ciò che costituisce una ricchezza del popolo di Dio. La pietà popolare contiene degli autentici valori e può favorire l’impegno di conversione nella vita dei fedeli. La misura di ogni modulo espressivo di genuina pietà cristiana è il Vangelo e l’adorazione del Padre in spirito e verità. È per questo motivo che la valorizzazione della pietà popolare comporta anche, quando è il caso, la necessaria purificazione ed evangelizzazione. In quest’ottica, si comprende che il rinnovamento voluto per la liturgia dal Concilio Vaticano II deve, in qualche modo, ispirare anche la corretta valutazione e il rinnovamento dei pii esercizi e delle pratiche di devozione.
«Siamo chiamati ad un aggiornamento […] ognuno guardi serenamente in casa sua e, norme alle mani, insieme alle commissioni e comitati, consigli pastorali e per gli affari economici, in comunione con la forania e la diocesi, veda con lealtà dove si è accumulate la polvere, ciò che è stato aggiunto in modo maldestro, abbia il coraggio di togliere, tagliare, modificare per ridare bellezza alla festa», scrive mons. Giudice.
Nella pietà popolare devono percepirsi quattro aspetti.
C’è l’afflato biblico, essendo improponibile una preghiera cristiana senza riferimento diretto o indiretto alla pagina biblica. C’è quello liturgico, dal momento che dispone e fa eco ai misteri celebrati nelle azioni liturgiche, e quello ecumenico, ossia la considerazione di sensibilità e tradizioni cristiane diverse, senza per questo giungere a inibizioni inopportune. Da non tralasciare l’aspetto l’antropologico che si esprime sia nel conservare simboli ed espressioni significative per un particolare popolo, evitando tuttavia l’arcaismo privo di senso, sia nello sforzo di interloquire con sensibilità odierne. Per risultare fruttuoso, tale rinnovamento dev’essere permeato di senso pedagogico e realizzato con gradualità, tenendo conto dei luoghi e delle circostanze.
La differenza oggettiva tra pietà popolare e liturgia deve trovare visibilità nell’espressione cultuale, che si colloca nel rispetto della fisionomia peculiare dei differenti ambiti ovvero la non mescolanza di formule proprie di pii esercizi o devozioni con le celebrazioni liturgiche.
In effetti, il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche. Allo stesso modo è da superare, dov’è possibile, la concorrenza o la contrapposizione con le azioni liturgiche poiché va salvaguardata la precedenza da dare alla domenica, alla solennità, ai tempi e giorni liturgici.
«In questo tempo, per noi di ripresa, con il cuore disarmato, con la saggezza e il buon senso, lavoriamo con e nelle nostre comunità per ricominciare, facendo cadere gli orpelli, con un nuovo slancio pastorale. Così la pandemia e la sosta non saranno stati inutile, o semplice incidenti, ma sofferta occasione di crescita, quasi una terapia d’urto per uscire dall’emergenza ed avvicinarci verso il miglioramento», si legge in un passaggio della Lettera.
Infine, mons. Giudice chiede ai parroci e ai responsabili di vigilare su tutto con sguardo pastorale e con cuore di padri. Solo così, si augura il Vescovo, la festa, come avviene già in tante comunità, sarà un momento atteso, bello e preparato da tutto il percorso che la comunità compie di Domenica in Domenica per annunciare il Vangelo ed evangelizzare la pietà popolare.
di don Carmine Autorino,
Docente di Liturgia alla PFTIM e vice direttore Ufficio liturgico dell’Arcidiocesi di Napoli