Maturità 2023, Eraldo Affinati: “Sia un trampolino di lancio verso nuove avventure”

Partire dalla propria esperienza per sviluppare la riflessione; scrivere frasi brevi per mantenere il controllo della sintassi. È il consiglio dello scrittore e insegnante romano ai 536mila studenti che domani inizieranno gli esami di maturità con la prova scritta di italiano.
foto ANSA/SIR

Prendono il via domani gli esami di maturità 2023 per 536mila studenti: oltre 267mila provenienti dai licei; oltre 173 mila dagli istituti professionali e circa 95mila dagli istituti tecnici. A valutare i risultati delle due prove scritte e del colloquio che saranno tenuti a sostenere una commissione composta da un presidente esterno, tre membri esterni e tre interni all’istituzione scolastica.

Per i candidati dei Comuni delle aree alluvionate in Emilia-Romagna le prove d’esame saranno sostituite da un colloquio interdisciplinare finalizzato ad accertare il conseguimento del loro profilo culturale, educativo e professionale. Come ogni anno ne parliamo con Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati.

Professore, ad inaugurare l’esame di maturità 2023, come sempre, la prova scritta di italiano con il suo profondo valore simbolico. Quanto è importante per la valutazione complessiva di uno studente?

Lo scritto di italiano, nelle sue varie modalità e anche come base comune a tutti gli indirizzi, resta al centro dell’esame di Stato perché consente di vagliare, prima ancora della preparazione specifica sulle singole materie, le capacità logiche e riflessive del candidato il quale, grazie ai rapporti fra un argomento e l’altro, ha la possibilità di svolgere collegamenti mostrando le proprie inclinazioni. Se questa prova risulta originale e convincente, può essere utilizzata anche nel colloquio orale, quale riferimento per ulteriori suggestioni.

foto SIR

Sette tracce tra le quali il candidato potrà scegliere quella a lui più congeniale. Da scrittore, oltre che da insegnante, che cosa si sente di suggerire ai ragazzi per affrontare questa prova nel migliore dei modi vincendo l’ansia e rimanendo lucidi?

È sempre bene partire dalla propria esperienza per sviluppare ragionamenti più generali. Chi è portato alla sintesi sarà avvantaggiato. Agli altri potrà essere utile avere uno schema su cui basarsi. Tecnicamente, secondo me, è meglio scrivere frasi brevi per evitare di perdere il controllo sintattico. Quanto all’ansia, bisogna imparare a governarla, sapendo che il rischio non è alto, visto che alla fine la quasi totalità degli ammessi conseguirà il diploma. La discussione nelle commissioni riguarderà piuttosto il punteggio e noi sappiamo che gli anni precedenti saranno giustamente considerati.

Tuttavia, sarà compito dei docenti contribuire a sdrammatizzare una prova che gli adolescenti, nonostante le statistiche, continuano a vivere come una tappa decisiva, quasi ciò che resta dei vecchi riti di iniziazione.

A noi adulti questo può far sorridere, ma per un diciottenne l’esame di Stato resta un evento importante, in senso esistenziale prima ancora che scolastico, in quanto scandisce un passaggio epocale: termina la vita di classe e inizia una fase nuova piena di incognite e aspettative.

Rispetto all’anno scorso, quando a costituire le commissioni erano i docenti che avevano seguito gli studenti lungo tutto il loro percorso, insieme ad un presidente esterno, quest’anno i membri esterni sono addirittura quattro, presidente compreso. Che cosa implica questo per i ragazzi?

Per esperienza so che tale modifica può accrescere il timore di alcuni, ma a questi mi sento di dire che nella vita capiterà spesso di avere a che fare con sconosciuti; quindi, è meglio cominciare ad abituarsi subito. Così magari i candidati scopriranno che i nuovi docenti, annunciati come severi, non sono necessariamente meno comprensivi degli altri, anzi in certi casi potrebbero mostrare maggiore empatia. Almeno così voglio credere. È chiaro che in ogni esame c’è sempre il rischio di trovare chi si approfitta della discrezionalità del giudizio che è chiamato a fornire; tuttavia, la coralità della commissione dovrebbe scongiurare qualsiasi forzatura al riguardo.

Per gli alunni degli istituti delle aree alluvionate solo un colloquio interdisciplinare. Come valuta questa decisione?

Positivamente. È come se questi alunni avessero già sostenuto una prova di maturità dalla quale, a quanto sembra, sono usciti a pieni voti, anche smentendo sul campo certi stereotipi duri a morire sulla presunta indifferenza dei nostri giovani.

Il termine “merito” inserito nella denominazione del ministero dell’Istruzione è stato accolto da non poche polemiche. Inteso invece come mix di capacità e impegno, quale “spinta” può dare ai ragazzi nell’affrontare questo esame e, più in generale, nel porsi di fronte alle sfide che inevitabilmente incontreranno nella vita  e a dare loro un senso?

È giusto che i docenti valorizzino le risorse dei propri alunni e che questi vedano riconosciuti i loro meriti. Tuttavia, nella mia visione, gli insegnanti non dovrebbero mai isolare i vincitori dal resto del gruppo, e questi ultimi sono chiamati a restituire agli altri ciò che hanno ottenuto: se lo faranno il loro talento si moltiplicherà a dismisura e avrà così avuto un senso pieno, altrimenti tutte le medaglie ricevute finiranno nel cassetto e col tempo perderanno il valore che gli abbiamo dato.

Il suo augurio per i maturandi?

Che possano utilizzare questa prova come trampolino di lancio verso nuove avventure, mettendosi alle spalle le esperienze negative e valorizzando quelle più belle.

Giovanna Pasqualin Traversa

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