È così paradossale vedere ministri della Repubblica che si scatenano contro un caro-carburanti che è causato anzitutto dallo Stato. Perché più della metà del prezzo di benzina e gasolio deriva dalla quantità mostruosa di accise che gravano sul costo industriale di questi sottoprodotti del petrolio. La variazione delle quotazioni del greggio incide per una parte assai relativa.
L’Italia ha una capacità di raffinazione notevole e non manca, quindi, di carburanti da mandare alle pompe, né deve importare benzina e gasolio dalla lontana Terra del Fuoco. Il problema è che poi lo Stato grava questi prodotti con un’imposizione fiscale che esiste ovunque, ma in Italia assume livelli quasi da record. E così il prezzo alla pompa finisce per essere tra i più alti d’Europa, per la disperazione di automobilisti e camionisti, ma anche di trasportatori vari, navi, aerei, trattori, generatori di corrente.
E perché questa mano pesante da parte dei vari governi che si sono succeduti dal periodo fascista in poi? Semplice: lo Stato fatica a incassare le imposte dirette (quelle che gravano sui redditi) e quindi si rifà su quelle indirette, impossibili da evadere o eludere.
Magari sarebbe opportuno allentare un po’ la stretta fiscale quando il prezzo alla pompa raggiunge valori degni di un litro di buon vino Doc.
Questo è anche il motivo per cui noi consumatori non riscontriamo una vera concorrenza tra le stazioni di servizio. I margini di competizione sono così risicati (acquisti della materia prima dalle stesse raffinerie, tassazione uguale per tutti) che normalmente la pompa di carburante più conveniente sul territorio, lo è di pochi punti percentuali rispetto alla media.
Ultima chicca di questo strano mondo: il costo industriale della benzina è inferiore rispetto a quello del gasolio; al distributore la situazione si capovolge per una tassazione della prima nettamente più pesante rispetto al secondo.
Nicola Salvagnin
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