È un gigante buono Aziz Abbes Mouhiidine. Originario di Mercato San severino, ha 25 anni e rappresenterà l’Italia alle Olimpiadi. Quando tira i primi colpi è un bambino, ha da poco compiuto otto anni. Ad ispirarlo fu Mohammed Alì. Da allora non ha più lasciato il ring, passando da quello della palestra sanseverinese a quello del Centro federale di Assisi. Con l’oro agli Europei di pugilato, che si sono svolti a Cracovia in Polonia dal 21 giugno al 2 luglio 2023, ha staccato il pass per Parigi 2024 per la categoria pesi massimi, onorando una promessa fatta al padre prima che morisse. Ma nel 2023 ha anche conquistato l’argento ai Mondiali. «Vengo da un primo semestre di grande successo – racconta –. Lavoro duramente per essere sempre al top, tra i migliori al mondo e continuerò a farlo per arrivare a Parigi 24 nella forma migliore».
Come ci si prepara a questi tornei internazionali, quanto lavoro richiede e come scandisce l’anno?
«In primis, ci vuole tanta determinazione. Ho due allenamenti al giorno, per un totale di dieci allenamenti a settimana. Due ore la mattina per la preparazione fisica e atletica e poi di pomeriggio la preparazione tecnico-tattica oppure i lavori di figure con il tecnico o i lavori al sacco. Lavoro duramente anche psicologicamente perché bisogna trovarsi sempre pronti ai match. Il lavoro mentale è importantissimo come quello fisico».
Quanta concentrazione servirà per arrivare preparati a Parigi 2024 tra poco meno di un anno?
«Le Olimpiadi sono il desiderio di ogni atleta, poi vincerle è il top. Qualificarsi è stato importantissimo, lo avevo promesso a mio padre che purtroppo non c’è più. Ci eravamo giurati di arrivare a Parigi e conquistare la medaglia d’oro. Le Olimpiadi non sono più un sogno, perché mi sono qualificato, ora non resta che conquistare la medaglia d’oro».
Il pugilato arriva dopo il karate. Perché la scelta di questi sport?
«Comincio come karateka per volere di mamma. Poi intorno agli otto anni mio padre mi fa vedere il film su Mohammed Alì interpretato da Will Smith. Mi dissi: “Voglio diventare come lui”. Seguire i suoi passi non solo come pugile, ma anche come persone. Ho iniziato, quindi, a praticare pugilato nella palestra Olimpic Planet di Mercato San Severino, dove tuttora mi alleno. Sono cresciuto e sono anche diventato un poliziotto del gruppo sportivo Fiamme Oro ed è grazie a loro che posso allenarmi con serenità sia a casa, ma anche al Centro federale di Assisi dove prepariamo le gare e tutte le competizioni importanti, dove ci ritroviamo come una famiglia».
Atleta e pugile della Nazionale italiana e delle Fiamme Oro. Dopo il diploma al “Rescigno” hai deciso di intraprendere un percorso universitario in Scienze politiche e Relazioni internazionali. Come si coniuga il lavoro sportivo, la vita privata e lo studio?
«È davvero difficile far combaciare il tutto. Ho la fortuna di frequentare l’Università Mercatorum che mi permette di seguire a distanza e sostenere gli esami fuorisede. È un aiuto importante per noi atleti. Tra un allenamento e l’altro ho il tempo di studiare o passare del tempo con gli amici e la mia fidanzata».
La fidanzata, appunto, un amore nato sul ring?
«Sì, la mia fidanzata è Carlotta Paoletti e anche lei fa parte della nazionale di pugilato. Un amore a prima vista, ma anche a primi pugni».
Ed è sul ring che le hai chiesto di sposarti, vero?
«Sì, dopo la medaglia d’oro agli Europei le ho fatto la proposta che ha accettato subito. Ora stiamo programmando le nozze che ci saranno dopo le Olimpiadi di Parigi».
Matrimonio che sarà celebrato in chiesa perché tu hai scelto il cattolicesimo.
«Sì, a 20 anni ho scelto la religione cattolica. Non sono mai stato forzato dai miei genitori. Avendo mamma cristiana e papà musulmano mi hanno lasciato una libertà di scelta fondamentale. A casa mia si festeggiavano tutte le feste. Una cosa bellissima che mi ha dato tanto. Il matrimonio si farà in chiesa ed io e Carlotta siamo davvero emozionati».
Come è stata la tua infanzia e adolescenza, le origini marocchine hanno pesato sull’integrazione tra i coetanei? Hai subito discriminazione?
«Le persone che si fermano solo al mio nome ci sono, c’è questa ignoranza verso il prossimo. In ambito sportivo c’è sempre rispetto tra gli atleti, è lo sport che lo insegna. Sono stato però oggetto degli haters da tastiera, che dopo le vittorie mi scrivevano “Ci voleva un ragazzo straniero per cantare l’Inno di Mameli”».
Tu hai risposto con i fatti.
«Ai giochi Europei è stato un onore sventolare in alto il tricolore sapendo che l’Italia aveva vinto il medagliere distaccando Spagna e Grecia. Rispondo con le vittorie a questi atteggiamenti, che tuttavia uso anche come stimolo a fare sempre meglio».
Alle Olimpiadi ci sarà anche Irma Testa. Due campani. Il pugilato onora la nostra terra. Ma un po’ tutti gli sport da combattimento. A cosa si deve tutto questo?
«In Campania, come in tutto il Sud, c’è tanta determinazione e voglia di rivalsa. Vogliamo dimostrare che non siamo da meno a nessuno. In ambito sportivo, il 2023 è stato importantissimo: il Napoli campione d’Italia, la promozione del Catania, le nostre medaglie. L’Italia del pugilato è forte, per ora ci siamo qualificati in quattro. Ora ai prossimi due tornei mondiali ci faremo trovare pronti per strappare altri pass importantissimi».
I pugni e i colpi del pugilato quanto temprano nella vita?
«Insegnano tanto. Il pugilato ti mette letteralmente al tappeto, ma non è mai duro come la vita. È uno sport che insegna a confrontarsi con le difficoltà della vita e soprattutto a rialzarsi sempre».
Cosa dici ai più giovani che si approcciano ad un nuovo sport. Per chi volesse avvicinarsi al pugilato, possiamo sfatare il mito che è solo uno sport violento?
«Possiamo sfatare il mito soprattutto ai genitori: sappiate che quanto apprendono in palestra non viene trasmesso per strada. Noi pugili per strada siamo i più docili, perché siamo consapevoli delle nostre potenzialità sapendo che le nostre mani sono delle armi bianche. Ci trasformiamo sul ring perché dobbiamo vincere, dando il tutto per tutto, ma sempre nel rispetto delle regole e degli avversari. Il pugilato, aggiungo, serve tanto nel confrontarsi con la vita, è un aiuto per l’autodifesa e se lo fai con passione diventa amore. Per me è stato così».
Salvatore D’Angelo
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