I recenti fatti di cronaca, e in particolare l’omicidio della giovane Giulia Cecchettin, uccisa dell’ex fidanzato hanno provocato una forte emozione dell’opinione pubblica e soprattutto una rinnovata attenzione al tema della violenza sulle donne.
Un tema ricorrente, in una società come la nostra che pur ispirata ai valori della dignità di ogni persona umana, della parità di genere, continua a trovare nei suoi anfratti più profondi, zone buie, pensieri e comportamenti inaccettabile, non di rado capaci di sfociare in tragedie.
Pensieri e comportamenti che sono sempre esistiti, in verità (il che naturalmente non giustifica che vi siano ancora). Il recente, bellissimo film di Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”, successo straordinario al botteghino, ha ad esempio messo in luce, con una delicatezza ammirevole, proprio il tema della violenza e della sopraffazione, ambientato nella società e in una famiglia nella nostra Italia del dopoguerra.
Nello stesso tempo ha sottolineato la capacità di reagire, di far fronte a una cultura oppressiva non fuggendo, ma proponendo valori positivi alla ricerca di libertà e di affermazione. Un vero e forte messaggio civile e politico per il quale, credo, si debba dire grazie ad un’artista di livello e in generale all’arte, capace di arrivare con la forza dei linguaggi propri, al cuore e alla mente delle persone, più di qualsiasi discorso.
La bellezza salverà il mondo. E’ un monito che può essere fortemente attuale. E dove trovare questa bellezza?
Al di là dell’arte, è nei luoghi delle relazioni dove si può concretizzare il “bello” del rapporto tra le persone, il “bello” del rispetto, dell’amicizia, della cooperazione, della condivisione.
La famiglia, certo, può essere un luogo del genere. Ma non bisogna illudersi sul fatto che basti evocare il termine “famiglia” per realizzare ambienti sani e “belli”. In realtà la cronaca ci dice che proprio le famiglie sono spesso il luogo privilegiato delle violenze e dei rapporti malati.
Per mille motivi che non possiamo indagare qui.
La scuola, piuttosto, ha le possibilità di costruire quel “bello” capace di realizzare una cultura – pensieri e atteggiamenti – rispettosa delle persone. La scuola, dove le relazioni sono vissute e sperimentate con intensità, nelle più giovani età, e guidate da professionisti – gli insegnanti – che hanno precise competenze e comunque devono essere formati in modo adeguato.
Quanto ha fatto la scuola, nella nostra Italia, per costruire mentalità aperte, sensibilità ai valori, un tessuto sociale migliore che in passato. Non va dimenticato, pur senza chiudere gli occhi sulle criticità esistenti oggi come ieri. Siamo all’interno di un percorso mai finito e sempre da migliorare.
In questa direzione va la determinazione del ministro Valditara, con il nuovo progetto “Educare alle relazioni”, per il quale sono state stanziate apposite risorse ed è già stata emanata una direttiva alle scuole. Un passo avanti, che avrà certo bisogno di concretizzarsi al meglio, con azioni fattive nei nostri istituti. Ma ha ragione il ministro quando afferma che “dobbiamo partire proprio dalla scuola, dalla cultura, dalla formazione dei nostri giovani” per sradicare una cultura “maschilista”, ma più in generale violenta e irrispettosa delle dignità di ogni persona umana.
La scuola può e deve fare molto. Mettendo a tema le relazioni, che non sono teorie, ma pratiche da vivere in modo virtuoso quotidianamente nelle aule dei nostri istituti. Coltivando la passione e la cura per la cultura, l’arte, il sapere e, soprattutto, la sua condivisione. Perché l’uomo e la donna di oggi non siano più quelli “della pietra e della fionda”, ma al contrario capaci di lasciare a terra le potenzialità offensive, meravigliandosi delle straordinarie risorse di ciascuno che, insieme e non “contro”, fanno brillare la bellezza.
Alberto Campoleoni
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