Quest’anno, per un particolare intreccio del calendario, il Mercoledì delle Ceneri si celebra il 14 febbraio, giorno della festa di San Valentino, patrono degli innamorati e santo molto caro dalle nostre parti tanto che gli è intitolato il bel comune dell’Infiorata.
Nel 1936, fu monsignor Pasquale dell’Isola, allora vescovo di Sarno-Cava de’ Tirreni, a far giungere alcune reliquie del prete e martire a San Valentino Torio.
Per la verità dell’illustre Santo si sa assai poco. C’è anche una diatriba tra il prete e martire romano, patrono di San Valentino Torio, e il vescovo e martire umbro, elevato a patrono di Terni. Due notizie essenziali però ci sono: l’amore per nostro Signore Gesù Cristo e il martirio.
Insomma, nulla a che vedere con cene a lume di candela o cioccolatini anche se, dal 1600 in poi, fu protagonista di leggende tramandate sino a oggi. Per taluni aveva la consuetudine di regalare rose ai fidanzati, ma è lo scrittore e poeta inglese Geoffrey Chaucer (1343-1400) a legare la sua festa a quella degli innamorati.
Al capitolo 8 del Cantico dei Cantici leggiamo: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore». Il legame tra amore e morte è evidente e, per questo, non è così sorprendente la coincidenza tra il giorno che dà inizio alla Quaresima e la festa degli innamorati.
Il Mercoledì delle Ceneri il sacerdote impone le ceneri sul capo dei fedeli e dice, nella formula classica, «ricordati che sei polvere e polvere ritornerai» o, nella formula oggi più comune, «convertitevi e credete al Vangelo». Vangelo ovvero Parola di Dio, altro nome dell’Amore che ama finanche quelle ceneri.
Tornando alla nostra quotidianità sembra che l’amore sia piuttosto malconcio e che l’odio faccia il buono e il cattivo tempo (anzi solo il cattivo, dall’odio non viene niente di buono). L’umanità è piegata dalle guerre e tutto le sembra risolvibile su un campo di battaglia. Trasudano odio anche i social network, luogo non luogo, vita non vita, palcoscenico di finzioni che non ci vuol nulla a smascherare. Si attacca così chi non si conosce nemmeno, senza considerare che dall’altra parte vi è sempre un uomo o una donna con tutti i propri sentimenti e la propria dignità.
Le parole sono usate come pugnali, i toni gridati li alzano a ferire. Umanità e pietà muoiono sotto i colpi delle lettere d’una tastiera.
Né v’è perdono alcuno per l’errore visto da chi, superbo, si propone come difensore della verità e giudica (solo Dio può ed esercita il giudizio con tanta, tanta, misericordia).
Dovremmo disarmare la mente, la bocca, il cuore, le tastiere. L’amore non è sito nel cuore, ma nel cervello. E, se è davvero il prodotto della ragione, ci porta ad amare anche chi non si conosce ed è dall’altra parte dello schermo a vivere la vita, a cercare amore.
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