Attraverso i secoli i vizi capitali hanno attirato l’interesse di pensatori, studiosi e soprattutto dei Padri del deserto le cui descrizioni e analisi delle passioni umane sono ancora molto attuali.
L’elenco dei vizi che ci è stato tramandato dalla tradizione cristiana è diventato negli ultimi secoli una formula mnemonica che accompagna l’educazione catechistica del cristiano, uno schema utilizzato dai predicatori per formare la coscienza morale dei fedeli, uno specchio nel quale esaminare la propria coscienza per individuare i peccati in vista della confessione sacramentale.
La superbia: l’illusione dell’autosufficienza
La superbia appare come espressione di un vasto insieme di vizi. La parola latina “superbia” contiene la preposizione “super”, che indica ciò che si trova al di sopra. La superbia è un vizio che non ha un oggetto preciso, ma riguarda ogni tipo di bene e di virtù utilizzati per divenire indipendenti da Dio. È il vizio dei perfetti o, piuttosto, di coloro che si ritengono tali e credono di essere autosufficienti, è come una malattia mortifera che insidia le relazioni.
Ha radici nelle profondità dell’uomo, che tende all’affermazione della propria identità. Spinoza definiva la superbia “una specie di follia, dove l’uomo sogna ad occhi aperti, pensando di poter realizzare tutto ciò che gli passa per la testa”. La follia risiede nel non riconoscimento dei limiti creaturali e il conseguente rifugio in un mondo irreale.
La gravità della superbia per san Tommaso d’Aquino consiste nel bene rifiutato; anche se l’oggetto cui il superbo mira non è materialmente più grave di altri atti, lo diventa quando si oppone al sommo bene, Dio. Questa tendenza al rifiuto di Dio rende la superbia radice di tutti gli altri vizi.
Per Gregorio Magno esistono quattro forme di superbia: quella di chi ritiene di essere l’unica ragione delle proprie capacità e dei propri successi, quella di chi, pur credendo in Dio, presume che tutto ciò che è ed ha derivi dal proprio merito; quella di chi si vanta di avere capacità che in fondo non ha e quella di chi disprezza coloro che non possiedono le capacità e i risultati da lui conseguiti.
Dante Alighieri mostra alcuni esempi di superbia nell’undicesimo canto del Purgatorio: «la grave condizione / di lor tormento a terra li rannicchia / […] si vede giugner le ginocchia al petto, / così fatti / vid’io color, quando posi ben cura». Il poeta impone ai superbi degli enormi macigni che li schiacciano, così che sono costretti a guardare finalmente in basso.
La superbia ha una ripercussione anche sul piano sociale favorendo la paura del confronto. La virtù contrapposta non può essere propriamente l’umiltà. Poiché la superbia è il vizio più grave, va combattuta con la virtù più alta: la carità.
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