Ogni anno la scuola si trova a fare i conti con i “salvati” e i “dispersi”. Il numero di coloro che abbandonano precocemente gli studi, purtroppo, è ancora preoccupante e dovrebbe avere maggior rilievo nel dibattito sociale e politico di questo Paese, ma la dispersione scolastica non è certo un fenomeno da clamore mediatico.
La notizia viene spesso liquidata in poche righe e si pensa che riguardi soprattutto ragazzi “con poca voglia di studiare”.
In realtà, i giovani che lasciano la scuola, o la frequentano in maniera irregolare, esprimono un disagio che interessa – per cause e conseguenze – l’intera collettività e che avrebbe bisogno di essere sviscerato in profondità. La dispersione scolastica è infatti indicativa dello sviluppo di un Paese, mostra il suo stato di salute e l’equità sociale.
In Italia la percentuale dei ragazzi che abbandonano gli studi prima di conseguire un diploma è una delle più elevate d’Europa (12,7%, dati Istat 2022), a precederci in questo sconfortante primato sono la Romania (15,3%) e la Spagna (13,3%). Nonostante i progressi registrati siamo ancora lontani dall’obiettivo Ue del 9% da conseguire entro il 2030. Inoltre, la percentuale di Neet nel nostro Paese (ossia dei 15-29enni che non studiano e non lavorano), raggiunge il 23,1% (contro una media Ue del 13,1%).
La dispersione scolastica in Italia riguarda soprattutto gli stranieri di prima generazione (quindi i non nati nel nostro Paese) e i ragazzi nati e cresciuti in ambienti deprivati sia economicamente che socialmente.
Registra inoltre picchi elevati nel Sud Italia, dove troviamo la Sicilia con una percentuale che supera il 21%, la Puglia con il 17,6%, la Campania con il 16,4% e la Calabria con il 14%. Le statistiche indicano, inoltre, un gap di genere, ad abbandonare precocemente gli studi sarebbero soprattutto i maschi.
Il momento più critico pare essere il passaggio tra le scuola media e le superiori.
Per quest’ultima il tasso di dispersione scolastica più elevato riguarda istituti professionali (7,2%) e istituti tecnici (3,8%), mentre risulta più contenuto nei licei (1,6%).
Ancora oggi, quindi, la dispersione e l’abbandono scolastico è un problema di “classe”. Forte e persistente è, infatti, la correlazione tra povertà economico-educativa e scarso rendimento scolastico. Molto spesso, inoltre, alunni deboli economicamente e culturalmente si riversano in determinati tipi di scuole, si vengono così a creare dei veri e propri “ghetti educativi”. In questi contesti, l’apprendimento generale viene fortemente influenzato e penalizzato dalle dinamiche del gruppo, spesso di difficile gestione per i docenti.
Anche i dati Invalsi confermano questo quadro scoraggiante.
In tutte le discipline testate emerge che il punteggio è strettamente legato allo status sociale degli studenti. Le rilevazioni nazionali mostrano, inoltre, che esiste anche una “dispersione implicita”: non illudiamoci che la frequenza scolastica coincida sempre con la maturazione di competenze effettive!
Il conseguimento del titolo di studio, in alcune zone del nostro territorio, non offre garanzia di adeguata preparazione per esercitare una cittadinanza attiva, proseguire gli studi, o intraprendere un percorso professionale. Pare che nel 2022 la dispersione scolastica totale, implicita ed esplicita, abbia sforato il 20%.
La situazione non riguarda soltanto i singoli individui, ma la collettività intera perché i giovani che hanno abbandonato la scuola dovranno trovare un posto dignitoso all’interno della società. Molti tra loro saranno esposti a sindromi depressive o dipendenze, nonché alle tentazioni dei guadagni “facili” e illegali. La mancanza di opportunità lavorative per chi non ha completato il corso di studi riprodurrà, come in un circolo vizioso, gli svantaggi familiari di partenza. La dispersione scolastica genera, inoltre, un “costo reale” per lo Stato in termini di misure di protezione sociale e criminalità, oltre a determinare un minore incremento della ricchezza nazionale.
Certamente il quadro non è del tutto negativo e l’Italia sta facendo passi avanti, ma i miglioramenti sono lenti ed evidenziano una inadeguata progettualità politica ed economica nel campo dell’istruzione.
Una scuola più equa è il presupposto fondamentale per una società più giusta, ma anche più “ricca” sotto molteplici punti di vista.
Silvia Rossetti
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