Parole dette male

Come difendersi quando il discorso pubblico diventa “tossico”? L’editoriale di Salvatore D’Angelo.
Foto di Alexa da Pixabay

A volte sembra di essere negli spogliatoi di una palestra, dove c’è chi si lascia andare a battute di dubbio gusto e all’utilizzo di termini borderline. Accade sicuramente in quelli maschili, che mi capita di frequentare. Non ho esperienza di quelli femminili; non dubito però che pure le signore, di tanto in tanto, si facciano prendere la mano da qualche freddura. Non mi scandalizzerei più di tanto. Anzi, non mi scandalizza affatto. Ogni ambiente ha i propri riti, i propri schemi e i propri confini. La palestra ha i suoi.

Quando però quelle modalità si spostano in televisione, online, sui giornali e nei luoghi istituzionali vuol dire che al peggio non vi è mai fine. Inutile prendere le distanze. A volte si rimpiange il Bagaglino. 

Vanno fatte, tuttavia, delle differenze. Un conto è essere consapevoli di come ci si comporta, altro è essere vittime del proprio atteggiamento. Se una conversazione privata viene registrata e diffusa si è vittime di sé stessi. Se saluto una persona utilizzando termini scurrili sono consapevole di cosa sto facendo.

Nemmeno il Parlamento è nuovo a scene degradanti. Dal cappio sventolato nel 1993, alla mortadella del 2008, alla rissa in Senato sul premierato, con annessa protesta delle giacche, lo scorso 29 maggio.

«Sono i beneducati e i colti a essersi impoveriti. Il discorso pubblico è dominato da vocaboli e gesti scurrili che ci indignano solo quando a pronunciarli e a compierli è l’avversario politico. Altrimenti vengono considerati un segno di vitalità e di schiettezza, oltre che di vicinanza ai gusti del popolo, mentre chi segnala la spaventosa regressione all’infanzia che sembra aver colpito le classi dirigenti del mondo intero passa ancora per un ipocrita o un bigotto», ha commentato Massimo Gramellini sul Corriere della Sera. Un tempo sarebbe stato un atteggiamento da parvenu.

Siamo dinanzi a cadute di stile, assenza di buongusto, offesa delle regole. Soprattutto alla perdita di scuorno e alla violazione della riservatezza. Ci sono troppi spifferi. Lo abbiamo sperimentato da vicino. Il chiacchiericcio decontestualizzante può essere divertente per alcuni, ma ferire profondamente altri e minare processi di rinnovamento. Impariamo ad essere più attenti ai luoghi e alle parole, anche se siamo tra amici, in famiglia, tra componenti di uno stesso gruppo.

C’è sempre un telefono pronto a filmare o registrare, per poi consegnare tutto in pasto ai social che sono il pericolo più grande e irreparabile. Un pericolo che non giustifica scivoloni, perché anche in palestra una parola detta male può ferire chi in silenzio è lì solo per allenarsi.

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