Tempo di pagelle ed esami

Siamo chiamati a vivere queste settimane con spirito costruttivo e vigile, senza a nostra volta l’ansia da prestazione di chi vorrebbe essere in classe al posto dei suoi figli.
Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

È proprio vero che gli esami non finiscono mai, come recita il titolo di una famosa commedia del grande Eduardo De Filippo che ormai citano anche le persone che non la conoscono. Sono passati solo cinquant’anni dalla messa in scena della pièce teatrale, eppure si tratta di un’espressione così vera da confondersi con quegli adagi antichi che non sentono l’ingiuria dei secoli.

Siamo nel pieno della stagione della consegna delle pagelle scolastiche per tantissimi ragazzi e per un numero inferiore, ma sempre considerevole, nel corso degli esami di terza media, o a meno di una settimana da quelli di maturità. Se poi poniamo lo sguardo agli studenti universitari, anch’essi – in maniera molto più frequente di quanto avvenne per i loro genitori, se si sono laureati – sono messi alla prova con successioni di appelli, esoneri e verifiche nei corsi di sessioni che si presentano davvero come corse ad ostacoli per atleti dal cuore e dai nervi molto saldi.

Chi scrive prova un’empatia smodata nei confronti di questi candidati di ogni ordine e grado perché è ancora assai vivida la memoria delle emozioni, purtroppo non sempre tutte positive, sperimentate quando era lui a doversi cimentare con la prova (a patto che possano da qualcuno mai considerarsi finite…).

Ansia da prestazione, stress smodato, paura fino al panico, disturbi psicosomatici prima e durante la performance… In tutto il cursus honorum, dalla prima elementare alla discussione della tesi di laurea, non ho mai mancato di chiedere ai miei genitori e poi a chiunque mi stesse vicino, una dose di pazienza ed accondiscendenza davvero notevoli.

Davvero, nel ricordo, la mia riconoscenza è grande nei confronti di coloro che hanno saputo assorbire la tensione, ascoltare le mille domande, farsi sponda nella ripetizione delle lezioni, o sparring partner nel confronto di compiti da svolgere o programmi da mandare a mente.

Quanti al lupo al lupo! Quanti non so niente! Rivelatisi spesso quasi dei gridi apotropaici – qualcuno potrebbe dire anche “superstiziosi” – per allontanare un pericolo presunto o reale… E quanti voti, poi, quasi sempre positivi, con l’accondiscendenza di chi, da fuori, con un poco di obbiettività in più, sapeva che sarebbe andato tutto bene!

Oggi non pare cambiato nulla e non mi pare che – seppure i livelli di preparazione scolastica possano essersi abbassati – vi sia poi chissà quale maggior lassismo… Anzi, tanti ragazzi sono vittime di ansie dalle radici misteriose e lontane e che forse non trovano direttamente sul piano scolastico il primo terreno di manifestazione, ma certo anche questo è parte integrante delle sfide che ha di fronte quella che alcuni hanno definito la “Xanax-generation”. Come genitori non possiamo non interrogarci. Come affianchiamo i nostri figli in occasione delle prove?

Oggi, per esempio, lo stesso arrivo delle pagelle, ha perso un poco del fascino che aveva nel passato.

Esse “escono”, come per magia, sui registri elettronici e rimbalzano sugli smartphone fra le generazioni senza quella ritualità che era connessa allo stesso supporto cartaceo….

Tutti in silenzio in aula quando venivano consegnate per nome e poi a casa, esisteva un oggetto tangibile che si doveva in qualche modo tirare fuori e dare in visione a nostra volta ai genitori e poi se mai in visione anche ai nonni e ai parenti stretti.

Non che ora manchi la possibilità di questa condivisione (anzi, se si vuole, possiamo superare le distanze con un clic), ma il rischio è che la mera informazione lasci il posto al calore di una reazione immediata e spontanea, ad un entusiasmo condiviso, ad una soddisfazione contagiosa, oppure, di converso, ad una presa in carico di responsabilità che possa aiutare chi ha subito una cocente delusione, o una vera e propria sconfitta a non sentirsi solo, a non viverla come un dramma insormontabile, ma se mai ad essere supportato a recuperare il tempo perso, o la mancanza di impegno (chissà quanti i motivi oltre alla banalità dell’essere svogliati…).

Di fronte all’incapacità dei ragazzi di affrontare le prove con serietà, senza fluttuare in balia di emozioni incontrollate, i genitori e tutta la comunità educante non possono alzare le spalle con rassegnazione miope o scaricando eventuali colpe su una generica complessità del presente. Non è vero che si stava meglio quando si stava peggio, così come non basta dire che oggi i ragazzi che vanno a scuola hanno troppe distrazioni o sono in balia degli attentati dell’uso improprio della tecnologia identificata con lo smartphone come catalizzatore di tutti i mali.

C’è senz’altro da vigilare sulle interferenze che la Rete e il mondo artificiale propongono alle percezioni quotidiane dei nostri ragazzi, ma questo non ci esimerà mai da un costante e indispensabile esame di coscienza sul ruolo della famiglia come presidio di umanità. Quante situazioni e atteggiamenti diversi! Forse tanti quanto ognuno di noi è unico e irripetibile.

C’è chi esterna preoccupazioni logorroiche e monopolizza tutti in casa perché si sintonizzino sulla sua ansia… Ma c’è anche chi si chiude a riccio, non comunica alcunché e non crede che ci sia spazio perché possa sfogarsi, o forse neanche lo desidera, con il rischio, però, di prendere qualche cantonata per un eccesso di autoreferenzialità.

Ci sono anche quei figli studenti che paiono non dare il benché minimo problema e che, però, magari, negli anni avranno sempre, nei confronti dei genitori, quel senso di rivalsa, come il fratello del figlio prodigo, perché a loro non si è mai data abbastanza attenzione.

Siamo chiamati a vivere queste settimane con spirito costruttivo e vigile, senza a nostra volta l’ansia da prestazione di chi vorrebbe essere in classe al posto dei suoi figli, di chi presume di potersi sostituire a loro, o ancor peggio proporgli scorciatoie più o meno lecite.

Quella genitoriale è la fatica di chi affianca con pazienza artigianale fatta soprattutto di ascolto mite, attento a non indulgere ad accusare gli insegnanti per ogni minimo insuccesso, ma al contempo facendo sentire ai ragazzi che “sempre e per sempre saremo dalla loro parte”.

Giovanni M. Capetta

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