75 anni dalla posa della prima pietra della Città dei Ragazzi

Il 10 luglio 1949 don Enrico Smaldone poneva la prima pietra della sua opera. Ad Angri un incontro e una Santa Messa per ricordarlo.
Foto di gruppo scattata al termine della Celebrazione Eucaristica

La Cittadella della carità “don Enrico Smaldone”, affidata alla Fraternità di Emmaus, ha organizzato insieme alla postulazione per la causa di beatificazione e canonizzazione del sacerdote e al Comitato don Enrico Smaldone il memorial “Città dei Ragazzi, quel sogno diventato realtà” per ricordare il 75esimo anniversario della cerimonia della posa della prima pietra dell’opera, seguito da una Celebrazione Eucaristica presieduta da don Domenico D’Ambrosi.

Il 10 luglio del 1949, infatti, don Enrico Smaldone giungeva insieme ad un corteo in festa e a tante autorità nel fondo donato dal dottor Giuseppe Adinolfi e poneva la prima pietra di una grandiosa opera: la Città dei Ragazzi.

Alcuni momenti del memorial

Quell’anno segna uno spartiacque nella vita del sacerdote, è lui stesso a raccontarlo nei suoi appunti e nelle azioni messe in campo. Pochi mesi prima, il 4 febbraio del 1949, aveva affisso un manifesto pubblico per “condividere” con la cittadinanza il suo sogno.

Il manifesto di don Enrico

«Cittadini – aveva scritto -, Iddio ci chiama ad una nobile missione, che porterà sulle rovine morali di tanti ragazzi la sacra fiamma di una luce nuova di rieducazione e redenzione. Da tempo ha messo in tumulto il mio spirito l’idea della costruzione di una “Città dei ragazzi” intesa ad accogliere fanciulli inconsapevolmente posti sulla strada del pervertimento. (…) Prepariamo loro una casa dove comprendano il valore della vita ed imparino ad amare».

Organizza poi un ciclo di conferenze per illustrare al popolo di Angri l’iniziativa della Città dei ragazzi per coinvolgerli nel suo sogno. L’11 febbraio la conferenza è affidata a padre Oppidio, famosissimo predicatore proveniente da un convento domenicano di Napoli.

Ma prima che il padre cominci a parlare don Enrico prende la parola e dice: «Questa sera voglio soltanto dirvi che la mia idea non è un’avventura ma il frutto di una lunga e profonda meditazione. È da anni che penso alla costruzione di una casa che avrebbe dovuto dare asilo a tanti fanciulli abbandonati nella vita cui la morte aveva strappato i sacri affetti dei genitori, ma le immani difficoltà mi hanno sempre trattenuto da questa idea. Poi finalmente il giorno 6 gennaio fui invitato dal gentilissimo d. Gennaro La Mura ad andare a vedere la proiezione del film “Gli uomini della Città dei ragazzi”. Andai. La visione di quel film fece rivivere più forte l’idea. Non ebbi più pace. Lunghe ore di meditazione. Ho lottato per molti giorni contro questa idea. Ma non ci sono riuscito. Mi accorsi che l’idea era un altro me stesso, era tutta la mia anima, per cui lottare contro l’idea significava lottare contro me stesso. Rinunciare ancora a quella idea significava rinunciare alla mia stessa vita. Allora pensai ai fanciulli, soli, raminghi, derelitti della vita, che senza mai sentire una parola di bene imparano precocemente tutto il male. Ho cercato di avvicinare qualcuno di questi fanciulli per leggere qualcosa nella loro anima infantile. Ed ecco un mattino battere alla mia porta un ragazzo di 8 anni per chiedere l’elemosina. Era lacero, i suoi piedini nudi calzavano un paio di scarpe grosse e rotte che per nulla li difendevano dal freddo. Il suo visino pallido portava i segni della sofferenza. Lo faccio entrare, divido con lui una tazza di caffè.

Poi lo interrogo: di dove sei? “Di Pagani”. Hai la mamma? “Morì. Non l’ho mai conosciuta”. Hai il babbo? “Sì”. E dove sta? “Morì all’ospedale di Nocera”. E allora adesso non ce l’hai? “No”. Con Chi stai? “Con Nessuno”. Dove dormi adesso che fa freddo? “In una stalla”. Bestemmi tu? “Certe volte”. Ti fai la croce la mattina? “No”. Vai in chiesa la domenica? “No”. Lo mandai via, ma pensai: quanti ragazzi in queste compassionevoli condizioni. Quale significato è la vita per questi sventurati? (…) Fu allora che dinanzi a Dio e innanzi a questi fanciulli io assunsi decisamente l’impegno dell’istituzione di una città dei ragazzi che avrebbe redento questi fanciulli e ne avrebbe fatto ottimi cittadini, per il bene della Chiesa e della Patria».

La prima pietra

Il 10 marzo dello stesso anno stila il metodo pedagogico da adottare nella Città e il 10 luglio vi è la cerimonia della posa della prima pietra. «In quest’ora così solenne che ci esalta nella fulgida visione di tante speranze noi scriviamo il primo verso di una epopea interminabile cui abbiamo posto titolo “Città dei Ragazzi”» dice nel suo discorso. Poi aggiunge: «Forse in questo momento chissà quanti fanciulli raminghi nella vita sentono che la lor anima si agita. Essi vedono trepidanti nel lor avvenire buio e incerto brillare un raggio di luce, sorridere una speranza. (…). Noi non negheremo questo conforto».

Inizia così una storia durata fino al 1967, anno della prematura scomparsa di don Enrico che ha fatto da padre e ha insegnato un mestiere a centinaia di bambini.

Il memorial

Durante il memorial, che ha avuto inizio alle 18.30, abbiamo ascoltato la testimonianza di uno dei bambini di don Enrico, oggi padre di famiglia e nonno felice, raccolta da due membri del comitato, il professore Pasquale Pannone e Giovanni Gallo. Nato il primo luglio 1950 a Sapri, Renato D’Agostino, attualmente residente in Germania, arriva nella Città il 23 novembre del 1961 insieme al fratello gemello Cesare e ci resta fino all’età di 17 anni.

Alcuni momenti del memorial

La lettura di alcune lettere di don Enrico, inviate all’amico d’infanzia Federico Russo e raccolte nel testo “L’audacia della carità. Lettere e appunti a cura di don Silvio Longobardi, è stata intervallata dalla proclamazione di alcuni elaborati di studenti premiati dal concorso scolastico dedicato a don Enrico nella diverse sezioni. Obiettivo del concorso, portato avanti con grande passione e impegno dal Comitato e che coinvolge tutte le scuole di Angri, “è trasmettere la memoria di un cittadino illustre che tanto bene ha fatto per Angri alle nuove generazioni. E dai risultati raggiunti, l’obiettivo sembra centrato” ha dichiarato il presidente Agostino Ingenito.

Hanno poi preso la parola Francesco Petrosino e la moglie Annarita che da 9 anni – era il 10 luglio del 2015 – risiedono, insieme ai tre figli, nell’oasi dedicata dalla Fraternità di Emmaus al sacerdote. La coppia di sposi ha raccontato l’esperienza di accoglienza di minori, la gioia di prendersi cura di bambini nell’attesa che la famiglia di origine risolva le proprie difficoltà o mentre si perfeziona il percorso di adozione ma anche la fatica del distacco, tutto offerto per il bene dei piccoli.

Francesco e Annarita Petrosino, custodi dell’oasi “don Enrico Smaldone”

La Celebrazione Eucaristica

Ogni cosa è stata offerta nella Celebrazione Eucaristica, presieduta da don Domenico D’Ambrosi. Per l’occasione, davanti all’altare c’era la talare del sacerdote, quella con cui è stato seppellito e rimasta intonsa fino alla riesumazione.

A conclusione della Messa, durante la quale si è pregato anche per Agnese Adinolfi, che ha vissuto molti anni nella Città insieme a don Enrico occupandosi dei bambini, e per la professoressa Rosanna Toscano, membro del comitato scomparsa lo scorso mese di maggio,  è stata letta la pergamena che don Enrico fece preparare per la posa della prima pietra e poi l’assemblea, guidata dal sacerdote, ha recitato la preghiera scritta dal vescovo Giuseppe Giudice per chiedere una grazia al Signore attraverso l’intercessione del fondatore della Città dei Ragazzi.

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